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ospedale antico S.M.d.P Incurabili
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Stemma S.M.d.P Incurabili
Stemma S.M.d.P Incurabili

La fondazione degli Incurabili

Furono fittati due magazzeni nelle vicinanze del San Nicola e nell’estate del 1518 già vi si raccoglievano i primi infelici colpiti da mali spaventosi mentre ilVernazza insieme all’Ufficialità di Napoli ottenne dal papa Leone X il Breve “Nuper pro parte vestra dell’11 marzo 1519 insieme ai privilegi già concessi all’Ospedale San Giacomo di Roma.Il notaio genovese coadiuvò la Signora Longo finchè l’ospedale non prese una qualche consistenza organizzativa poi un bel giorno all’insaputa della stessa Longo si allontanò furtivamente da Napoli.

 

Da quel momento Maria Lorenza ,anche se assistita dalla Compagnia dei Bianchi restò la protagonista della nuova opera.

 

L’ospizio presso i magazzeni ebbe vita fino al 1522,quando si aprì il nuovo grande ospedale sull’altura di S.Agnello,il sito più ameno della città antica perché il più elevato e soleggiato.La domenica 23 marzo 1522 gli ospiti del vecchio ospedale sulle carrette furono accompagnati con degna processione,guidata naturalmente dalla Signora Longo fino al nuovo Incurabili.Erano presenti il vicerè Cardona ed il Consiglio Collaterale della città di Napoli.

 

Da questo momento per circa 10 anni e più la vita di Maria Longo sarà nell’ospedale e per l’ospedale ed ella lavorò qui con impegno tenace e volitivo,illuminato da un passione davvero commovente.

 

Il suo segreto era nella sua vita di fede e di preghiera che alimentava le sue giornate.Infatti,mentre attendeva al governo dell’ospedale esercitandosi nella carità verso gli infermi,ella forgiava il suo essere interiore nell’umiltà con il digiuno e la preghiera.Disprezzava se stessa,adoperandosi nel servizio altrui come una serva,accudendo gli infermi con le proprie mani soprattutto quelli più gravi con tanta tenerezza e consolazione.La grazia di Dio agiva attraverso di lei tanto i poveri ammalati si sentivano interiormente risollevati tanto che ancora dopo la sua morte sognavano che ella li visitasse e li consolasse.

 

Tuttavia con se stessa era molto austera e rigida, vivendo molto parcamente e digiunando tutti i venerdì a pane ed acqua ed il sabato aggiungeva un po’ di minestra di pan cotto condito con pochissimo olio.

 

Il suo desiderio di preghiera era sempre molto grande e non rinunciava ad esso per nulla al mondo.E spesso fu vista in colloquio con il dolcissimo Iddio da quale ricevette la conoscenza spirituale della Sacra Scrittura,tanto che uomini dotti imparavano da lei i significati profondi della divina parola rimanendo stupiti per tanta sapienza.

 

Riceveva molte persone che per fragilità umana vivevano nel peccato.Con le sue preghiere e con le sue esortazioni riusciva a ricondurle all’abbraccio del Padre di ogni misericordia.Fra questi spesso vi erano personaggi illustri.

 

Infine il suo contatto quotidiano con il Signore le aveva donato un occhio penetrante capace di prevedere le cose che poi accadevano tanto da farla dichiarare illuminata dallo Spirito Santo.

 

 

 

L'Ospedale "S.M.d.P. degli Incurabili" fu fondato nel 1520 ad opera di Maria Lorenza Longo che poi spese tutta la sua vita nell'assistenza ai malati. L'Ospedale ha tradizioni di alto livello in ambiti quanto mai diversi:

Religioso: ben 33 persone che hanno lavorato nell'Ospedale sono state santificate; ultimo in ordine di tempo S.Giuseppe Moscati, direttore della Medicina nei primi anni del 1900

Didattico: La "Facoltà dell'Ospedale" rilasciava i certificati necessari per l'ammissione all'esame finale della Laurea in Medicina; nell'Ospedale è nata la "Scuola Medica Napoletana";

Clinico/Scientifico: nell'Ospedale hanno lavorato illustri medici italiani e stranieri

Eventi Politico-Sociali: Domenico Cirillo, titolare della cattedra di Medicina Teorica e successivamente di quella di Medicina Pratica prestò, sin dal 1777 la sua opera presso l'Ospedale "Incurabili". Per la sua fama e per le numerose pubblicazioni scientifiche divenne medico della Famiglia Reale, ma ciò non gli impedì di partecipare alla breve utopia della "repubblica Partenopea" del 1799 al pari di Eleonora Pimentel de Fonseca, Mario Pagano, Francesco Caracciolo, Gennaro Serra di Cassano, Mario Pignatelli ed altri patrioti. Alla caduta della "repubblica" fu giustiziato il 29 ottobre 1799 in Piazza Mercato avendo rifiutato la grazia. Nel corso dell'insurrezione delle "quattro giornate di Napoli" del settembre 1943 il personale sanitario degli "Incurabili" curò i feriti, nascondendoli, a repentaglio della propria vita, ai rastrellamenti delle truppe tedesche.

Il terremoto del 1980 ha determinato un declino dell'Ospedale, che però negli ultimi anni è in fase di grande recupero, con l'ambizione di divenire un punto di riferimento fondamentale per l'assistenza medica nel Centro Antico di Napoli.
L'impegno in tal senso del UOC di Medicina Interna è documentato, come rilevabile nelle pagine successive, dalla numerosità, dalla complessità e dalla varietà delle attività svolte.

 

 


 

La storia dell’Ostetricia e l’Ospedale Santa Maria del Popolo degli Incurabili

 

La storia dell’Ostetricia è la storia dell’accudimento alla nascita, che è una caratteristica della nostra specie. Infatti, a differenza di quanto avveniva tra i nostri progenitori difficilmente una donna partorisce senza aiuto. Questo è dovuto anche a ragioni anatomiche. Le scimmie antropomorfe (2), che non hanno raggiunto la stazione eretta, nascono col viso rivolto verso quello della madre, che può sostenere ed accogliere il figlio, e questo si aggrappa attivamente al pelo materno. Con la stazione eretta il canale del parto si è modificato (3), la testa del neonato ruota abitualmente verso il dorso della madre e diventa una necessità essere assistite. Nascere senza aiuto è possibile, ma il comportamento di accudimento alla nascita è diventato una caratteristica della nostra specie (4) e le donne esperte, in tutte le culture (5) hanno sempre assistito la partoriente.

L’Ospedale degli Incurabili nasce a Napoli nel 1522 (6), in un secolo in cui tutti i bimbi nascevano in casa. Gli Ospedali erano strutture caritatevoli, destinati alla cura di anziani, poveri, orfani, bimbi abbandonati. Nell’Ospedale venivano accolte madri nubili o povere che non potevano partorire a casa e l’assistenza era simile a quella domiciliare (7).

Nel 16° secolo la teorizzazione filosofica e religiosa dell’inferiorità della donna, semplice ricettacolo del seme maschile, condizionava le teorie scientifiche e l’assistenza alla nascita (8). L’assistenza era affidata alle levatrici e l’interesse dei medici per la nascita era molto scarso, o addirittura in alcune nazioni erano esclusi dalla cura delle donne incinte. Erano stati scritti alcuni testi che descrivevano il parto fisiologico e strumenti destinati a estrarre il feto morto per salvare la madre, ma erano a disposizione delle persone più erudite e non utilizzati dalle comuni levatrici che spesso erano analfabete, come la maggior parte delle loro assistite. Il medico era chiamato solo se il parto era impossibile e vi era un serio rischio per la madre (9).

Alla fine del secolo lentamente si creano le basi per la rivoluzione scientifica (10). A partire dalla visione Geocentrica dell’universo sono ribaltate molte delle nozioni comuni, migliora la conoscenza dell’anatomia, cominciano a circolare nozioni di igiene e trattati di medicina (11). Nel 17° secolo i medici cominciano ad interessarsi al parto, anche a quello fisiologico, e circolano testi che trattano esclusivamente della gravidanza e del parto. Anche per le levatrici sono disponibili trattati destinati a istruirle sul parto fisiologico (12) e si tenta di controllarne l’attivita, sogetta a una tassa, e di sottoporle ad un esame che escluda le analfabete. Ma solo una minoranza delle ostetriche operanti nel regno rispettano queste regole. Per un lungo periodo i medici, che sono tutti maschi, si limitano a insegnare ostetricia in alcune università (13). Comincia a configurarsi lo scontro tra levatrici e medici.

Nel 18° secolo nell’Ospedale Incurabili si trova l’unica sala di maternità del regno e un medico, Domenico Ferrari, è lettore di ostetricia per gli studenti universitari. L’istruzione delle levatrici è compito di una grande personalità di ostetrica, Teresa Ployant, chiamata dalla regina Carolina a ricoprire il ruolo di “Ostetrica Maggiore”.

Alla fine del ‘600 Chamberlen inventa il forcipe (14) anche se strumenti simili erano già usati per rimuovere il feto morto. La famiglia Chamberlen per interesse tenne celata per molti anni una scoperta così utile e successivamente vendette il segreto al collegio medico Olandese, che lo trasmetteva solo dietro pagamento di grosse cifre di danaro. Comunque durante il ‘700 l’uso del forcipe si diffuse tra i medici, mentre scompariva l’uso del rivolgimento in podalico dei parti di vertice “ostruiti” (15).

Nel 19° secolo nell’Ospedale Incurabili coesistono due strutture (16): nella sala di maternità, gestita dalle ostetriche, avvengono la grande maggioranza dei parti. Nel 1812 viene istituita la Clinica Ostetrica, con lo scopo di istruire gli studenti di Medicina sull’Ostetricia con lezioni teoriche e dimostrazioni pratiche sui parti laboriosi al letto delle ammalate “malconformate”. Teresa Ployant, colta e capace, si occupa dell’assistenza e della didattica alle ostetriche. Rappresenta un elitè di ostetriche che difendono la propria professionalità (17). Scrive per le sue colleghe anche un compendio di Arte Ostetrica (18). Talora si scontra, supportata dalle autorità, con giovani medici che non tengono conto della sua grande esperienza (19). Tra il 18° e il 19° secolo cambiano le indicazioni al Parto cesareo. Questo era utilizzato, prima del ‘700, per l’estrazione del feto da madre morta (20), anche perché non era possibile essere sicuri della vitalità del feto e si tutelava anzitutto la vita della madre. Sono anche citati episodi isolati di sopravvivenza materna al cesareo (21). La mortalità materna e fetale da cesareo rimase altissima per tutto il 19° secolo (22). Nel 1818 Major indicò la possibilità di auscultare il B.C.F. potendosi così eseguire il taglio cesareo solo su feto vivo (22). Baudeloque, all’inizio del secolo, riferì che appena una donna su dieci riusciva a sopravvivere e Kajser nel 1876 compilò una statistica su 341 operazioni cesaree eseguite dalla quale risultò che soltanto 127 casi ebbero buon esito mentre 241 (63%) puerpere morirono nel periodo post operatorio. Presso l’Ospedale Incurabili, durante i primi 35 anni di attività della Clinica Ostetrica Cattolica, il Direttore, eseguì solo 6 tagli cesarei.

Nel 19° secolo quasi tutti i parti avvengono ancora a casa (23). Anche se alcune privilegiate ricorrono a medici a domicilio essi continuano ad essere visti con paura dalla maggior parte delle donne che partoriscono: non è solo un preconcetto. La mortalità materna e fetale aumenta a causa delle sepsi puerperali. La maggiore mortalità delle puerpere assistite dai medici rispetto a quelle assistite dalle ostetriche genera terrore delle donne per l’assistenza medica. Nel 1846 Sommelweis (24) aveva ipotizzato che la sepsi puerperale potesse essere trasmessa dai medici alle partorienti perché effettuavano autopsie prima delle visite ostetriche e suggeriva il lavaggio delle mani. Ma i batteri non erano ancora conosciuti e le sue ipotesi non furono tenute in considerazione, anche se suffragate dai fatti (25). Nella seconda metà del 19° secolo fu utilizzato il cloroformio (26), dopo la prima sperimentazione di Simpson nel 1847. Alla fine del 19° secolo, dopo gli studi di Lister, cominciò a essere praticata l’antisepsi, che ridusse marcatamente le sepsi puerperali. Il 20° secolo ha portato a numerose scoperte e ad un ulteriore progressiva diminuzione della mortalità materna legata al parto (27). Il perfezionamento del forcipe, la scoperta dei sulfamidici e degli antibiotici, la disponibilità della ventosa, la pratica dell’anestesia loco-regionale sono solo le principali acquisizioni della pratica ostetrica recente. Tuttavia la riduzione dei tassi di mortalità e morbilità materna non è legata solo ai progressi tecnici. Il miglioramento delle condizioni generali della popolazione, la diffusa disponibilità di acqua e personale esperto hanno favorito questa tendenza quanto le acquisizioni scientifiche. Ciò è dimostrato dalle enormi differenze tutt’ora presenti nei tassi di mortalità tra i paesi sviluppati e quelli che, oltre a carenze sanitarie, presentano soprattutto condizioni igieniche ed economiche particolarmente scadenti (28). Anche nel Paese tecnologicamente più avanzato, gli Stati Uniti (29), persistono differenze molto significative tra gruppi etnici che hanno diverso accesso alle risorse sanitarie ma soprattutto un diverso livello socio-economico. Inoltre la disponibilità di risorse tecnologiche può portare ad un uso eccessivo della tecnologia. Ciò è dimostrato soprattutto in Italia dall’eccessivo ricorso ad esami ecografici, cardiotocografici e dall’uso del cesareo al di fuori di indicazioni mediche, proprio nelle regioni che hanno peggiori esiti in termini di morbilità e mortalità perinatale (30). Se l’eccesso di esami porta soprattutto a crescita dell’ansia materna e dei costi dell’assistenza, l’uso improprio del cesareo può rappresentare un rischio per la salute e la fertilità delle donne. E’ indispensabile ricercare nella prassi assistenziale la massima aderenza possibile ai risultati della ricerca medica, per non rendere vano i progressi raggiunti (31). In questo contesto la progressiva ospedalizzazione di tutte le gravidanze, anche di quelle a basso rischio, ha certamente trasformato la nascita da evento sociale ad atto medico e spesso ha generato una inutile medicalizzazione del travaglio.

 

Il Complesso degli Incurabili è tra i più importanti siti monumentali di Napoli; di epoca rinascimentale, si trova nel centro storico, non lontano dal decumano superiore (ora via dell'Anticaglia).

Il complesso, originariamente, comprendeva la chiesa di Santa Maria del Popolo, la chiesa di Santa Maria Succurre Miseris dei Bianchi e lo storico ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili. Col tempo ingloberà anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli e l'omonimo chiostro, il complesso di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme e il chiostro delle Trentatré.

Lo storico ospedale degli Incurabili, fondato nel 1521 da Maria Lorenza Longo che volle tener fede ad un voto fatto quando era vittima di una malattia che l'aveva paralizzata, oltre agli altri pregi, racchiude la notevolissima farmacia settecentesca realizzata da Bartolomeo Vecchione; essa, quasi del tutto intatta, è composta da due sale con l'originaria scaffalatura completamente in legno, sulla quale, sono presenti circa 400 preziosi vasi in maiolica dell'epoca, realizzati da Donato Massa.

L'insieme di queste strutture racchiude quelle che rappresentano alcune fra le più importanti testimonianze del rinascimento napoletano.

Il complesso è una rarissima testimonianza di un'opera umanitaria e sanitaria dell'epoca che avrebbe dovuto accudire i malati incurabili. Nel maggio dei monumenti del 2010 è stato possibile visitare il museo delle arti sanitarie.

[modifica]Santa Maria del Popolo

La chiesa di Santa Maria del Popolo è caratterizzata da un interno ad aula unica con cappelle, decorato con stucchi barocchi; gli altari delle cappelle sono in marmo bianco, mentre quello maggiore, opera di Dionisio Lazzari, è in marmo commesso. Accanto all'altare maggiore è posto un sepolcro rinascimentale realizzato da Giovanni da Nola.

Gli affreschi della chiesa furono portati a termine tra il XVI ed il XVIII secolo; le principali opere pittoriche sono di Giuliano Bugiardini, Marco Cardisco, Francesco De Mura, Marco Pino, Giovanni Battista Rossi e Carlo Sellitto. Nella Cappella Montalto è posta un'opera di Girolamo d'Auria.

Nella sagrestia ci sono dei notevoli pezzi di arredo risalenti al 1603 e la volta fu stata affrescata ancora dal medesimo Giovanni Battista Rossi.

[modifica]Santa Maria dei Bianchi

La chiesa di Santa Maria dei Bianchi (o Congrega dei Bianchi della Giustizia) è l'altro edificio sacro inglobato nel Complesso degli Incurabili. Il nome della confraternita e quindi della chiesa fa riferimento al colore dell'abito dei religiosi ed al loro specifico ufficio, ovvero l'assistenza ai condannati a morte.

La chiesa, insieme alla congrega, venne fondata nel 1473 da San Giacomo della Marca e nel 1519, grazie all'appoggio di papa Paolo IV, venne ingrandita e restaurata. Nel XVI secolo la congrega fu dapprima spostata nella Santa Casa degli Incurabili e poi divenne nota nel Regno e fuori grazie al suo operato. Nel 1583 il re Filippo II ne ordinò lo scioglimento poiché essa generava sospetti nelle autorità spagnole a causa della segretezza con la quale operava. Nel 1673 vennero apportate modifiche e restauri barocchi su 

progetto di Dionisio Lazzari.

L'ingresso alla chiesa si trova su una scala in piperno devastata; l'ingresso è costituito da un portale anch'esso in piperno. L'elemento architettonico di spicco è la settecentesca scala a tenaglia che dal cortile degli Incurabili sale all'ingresso secondario della chiesa, e che oggi versa in stato di degrado.

Nell'interno c'è una effimera decorazione barocca composta da affreschi sulla volta; nelle fasce laterali vi sono efebi che hanno funzione di telamoni, ai quali si alternano conchiglie con figure allegoriche. Sull'altare è posta una statua della Vergine di Giovanni da Nola, mentre la volta fu affrescata da Giovan Battista Beinaschi. Nella sagrestia si trovano affreschi di Paolo De Matteis raffiguranti membri eminenti della confraternita.

Attualmente, entrambe le chiese versano in pessimo stato conserva

 

L’Ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili

prof Luigi De Paola Direttore Sanitario P.O. S.M.d P. Incurabili Napoli

dott. Angelo Morra C.P.S.Istituto Pascale Napoli

 

La costruzione dell’Ospedale di S. Maria del Popolo, detto poi degli Incurabili comincio’ a Napoli nel 1519 ad opera di due laici: il genovese Ettore Vernazza e la nobildonna catalana Maria Requenses Lonc (indicata sia dai contemporanei che dagli storici col cognome italianizzato Longo e, talvolta, Longa) vedova del dignitario di corte Joannes Lonc. La nascita di un ospedale per incurabili e inguaribili non era un caso isolato in quel periodo storico in Italia e in Europa; Colombo aveva scoperto il continente americano da ormai ventisette anni e, di ritorno dall’Atlantico aveva portato con sé il morbo della sifilide che, presto, aveva cominciato a mietere vittime in tutta Europa.

A Napoli i primi casi del morbo si registrarono dal gennaio 1496, a sei mesi dalla partenza delle truppe di Carlo VIII che era stato in città dal febbraio al giugno del 1495.

Nel 1499 per opera di un gruppo di borghesi vicini alla nobildonna Caterino Fieschi, (in odore di santita’sebbene ancora in vita) venne fondato a Genova uno dei primi ospedali degli Incurabili.Tra i fondatori figura il nostro Ettore Vernazza ; nel 1500 si aprì una struttura simile a Bologna e nel 1505 Alfonso I di Ferrara concesse alla Confraternita di S. Giobbe il permesso di chiedere denaro nel territorio del ducato per poter costruire lo “spedale dei franciosati”.

Il 19 luglio 1515 il Papa Leone X, con la Bolla “Salvatoris Nostri”, approvò l’istituzione, a Roma, dell’ospedale di S. Giacomo in Augusta, sorto per opera di una corporazione di laici nota col nome di S. Maria del Popolo, che Ettore Vernazza aveva riorganizzato in “Oratorio del Divino Amore”

Quando Vernazza alla fine del 1517 raggiunse Napoli, per fondarvi un ospedale con le stesse finalità di quello romano, portò con sé una copia della Bolla di fondazione dell’Arcispedale per prenderlo a modello.

Arrivato a Napoli, Vernazza per realizzare il suo progetto cercò di appoggiarsi alla comunità genovese presente nella città.

Il notaio genovese, cercò denaro dai suoi concittadini, ma non aveva fatto i conti con la vuota permalosità dei napoletani, pertanto dovette rivolgersi alla comunità spagnola che rappresentava il nuovo ceto dominante della città, per ottenere quella malleveria necessaria ad procurarsi consenso e partecipazione dalla nobiltà indigena che voleva imitare i nuovi regnanti. Anche a Napoli Vernazza adoperò lo schema confraternita e poi fondazione, con il passaggio attraverso l’intermediazione di Maria Longo che gli garantì l’apertura presso l’alta borghesia e la nobiltà di credito e credibilità da utilizzare per la realizzazione del suo progetto. Maria Longo aveva le “stimmate” di miracolata della Madonna di Loreto per cui averla al proprio fianco era garanzia di successo.

L’appoggio di una figura carismatica come la Longo non era però sufficiente in questa prima fase a garantire l’iniziativa e Vernazza realizzò anche qui una confraternita laica scegliendo, però, di non fondare ex novo un Oratorio del Divino Amore, ma rifondando una compagnia già esistente, quella dei Bianchi di Giustizia, infondendole però lo spirito degli Oratoriani.

Il compito che i Bianchi di Giustizia si erano proposti era l’assistenza fisica e spirituale ai condannati a morte negli ultimi giorni della loro vita.

Riprendere una compagnia che era andata “dispersa” nell’ultimo decennio del XV secolo, nonché caratterizzata da un’opera di carità così diversa da quella degli oratoriani, era un escamotage cui Vernazza e il Canonico Regolare padre Callisto da Piacenza dovettero ricorrere per invogliare alla partecipazione i nobili napoletani: se avessero accettato di accompagnare i malfattori alla forca allora sarebbe stato molto più semplice convincerli a fondare un ospedale. Inoltre sempre negli anni 1517-1519 si stava costituendo una seconda confraternita, cui aderivano sia catalani che napoletani, intitolata a S. Maria del Popolo, di cui faceva parte Maria Longo.

La Bolla papale che sanciva la fondazione dell’ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili, ed estendeva ad esso i diritti e i privilegi dell’Arcispedale di S. Giacomo a Roma, è dell’11 marzo 1519 ed è il Breve “Nuper pro parte Vestra” di papa Leone X.

Tra il marzo 1519 e il 27 settembre 1519, data d’inizio delle attività ricettiva e clinica dell’Ospedale, Maria Longo, forte dei suoi contatti con gli strati alti della società, e Ettore Vernazza, si adoperarono per cercare letti e suppellettili e, soprattutto, i locali dove avviare l’opera. Provvisoriamente l’attività cominciò in alcuni locali del vecchio ospedale di S. Nicola al Molo. Sebbene la sede fosse provvisoria non lo era, però, l’istituzione che si trova già citata nel 1520, con tanto di nome proprio (diverso da quello di S. Nicola presso il quale pure si trovava) e la specializzazione: vi sono assistiti “morbati del mal francese, cancari et altri morbi incurabili”.

Alla fine del 1519 Ettore Vernazza lasciò Napoli per Roma, nel 1520 padre Callisto da Piacenza si recò a Firenze per fondarvi un ospedale con le stesse finalità di quello napoletano che aveva appena aperto i battenti. Dal 1520 fino al 1539 fu, dunque, Maria Longo ad occuparsi dell’ospedale al quale dedicò il resto della sua vita.Il complesso sanitario che per secoli i napoletani –e non solo- avrebbero chiamato “l’Incurabili”era destinato a chiamarsi nei progetti dei suoi fondatori “ospedale dei santi Filippo e Giacomo” e a testimonianza ci restano le statue dei due apostoli che accolgono i pazienti e i visitatori ne cortile del nosocomio appena superata la cappella dei Bianchi di Giustizia. Il nome di Santa Maria del Popolo degli Incurabili era quello della Confraternita che era rappresentante presso la Santa Sede degli interessi dell’ospedale e della chiesa che si trovava nel suo perimetro, e che prima di intitolarsi alla Madonna degli Incurabili, doveva intitolarsi ad Ognissanti essendo solo il giorno d’Ognissanti del 1522 cominciata l’attivita’clinica della struttura.

 

Statue dei Santi Filippo e Giacomo

I primi governatori dell’ospedale furono addirittura il vicerè Raimondo di Cardona, il duca di Atri Andrea Matteo d’Acquaviva, il duca d’Andria Giovan Francesco Carafa e il marchese di Pescara Francesco Ferdinando d’Avalos. L’iniziativa era stata di due laici, ma il vicerè e la nobiltà seguivano l’istituzione da vicino in una sorta di controllo incrociato. Nel 1520 cominciarono le prime costruzioni sulla collina di S. Agnello, zona alta, molto ventilata che, poggiata sulla cinta muraria angioina, garantiva un semi-isolamento utile e un ricambio d’aria indispensabile per una malattia che produceva piaghe. Già allora, però, il Largo delle Pigne, la selva dove affacciava l’ospedale, era abitato da insediamenti extra moenia, mentre alle spalle del nosocomio c’era tutta la città greco romana. Un ospedale facilmente raggiungibile sia dall’interno che dall’esterno della città, vicino com’era ad uno degli ingressi della città: la Porta di S. Gennaro.

Il trasferimento dalla vecchia sede di S. Nicola, alla nuova sulla collina di S. Agnello avvenne con solenne processione il 23 marzo 1522 alla presenza del vicerè e di tutte le autorità civili e religiose. Già nei due anni in cui la sede dell’ospedale era stata al Largo delle Corregge il tipo di patologia che avrebbe trattato era stato delineato e, ora che si passava alla sede definitiva, l’accoglienza si allargò anche alle donne incinte che al nono mese di gravidanza potevano andare in un ospedale e partorire in sicurezza con l’assistenza di un medico e di una levatrice. Ma l’istituto, così come quello di Genova e di Roma, era stato creato per gli incurabili che nella mentalità e nell’accezione comune dell’epoca significava ogni persona inguaribile, quale che fosse la malattia che lo affliggeva, fisica o mentale, venerea o oncologica. L’ospedale era destinato ai poveri, affinché avessero un posto dove essere curati e, se era il momento, morire col conforto dei sacramenti. Incurabile, nel XVI secolo, era anche chi non poteva essere curato a casa per la complessità del male o perché, appunto, troppo povero per permettersi un medico. Ecco perché nella Santa Casa potevano essere ammessi anche ustionati, pazienti con calcoli renali e altre patologie chirurgiche, e ancora colerosi e tubercolotici.

 

Stemma dell’Ospedale Incurabili

 

D’altronde la Bolla papale “Salvatoris nostri”, che aveva accompagnato l’apertura del S. Giacomo di Roma sul cui modello si basavano tutti gli altri Incurabili d’Italia, parlava di “….pauperes infirmos variis morborum incurabilium generibus infectos quibus etiam gallico…”, e quindi era chiaro a chi destinare l’opera. Un “posto di rilievo” nella storia della clinica degli Incurabili di Napoli ce l’hanno però i matti che l’ospedale accolse riservando loro un’attenzione particolare tanto da diventare poi il manicomio di Napoli.

La rappresentanza legale dell’ospedale non fu mai di Maria Longo, sebbene le fosse riconosciuto il titolo di fondatrice e fosse nominata in un documento notarile del 1535 “Gubernatrix Venerabilis Hospitalis Incurabilium Civitatis Neapolis”. A quel tempo le donne non potevano avere nessuna rappresentanza pubblica e/o istituzionale. Quale fosse la sua carica all’interno dell’ospedale dalla fondazione fino al 1535, anno in cui si ritirò in convento, non è noto. Sicuramente la Longo lavorò “dietro le quinte” accanto ai governatori che, sin dal primo momento, furono i soli rappresentanti legali del nosocomio. Ad economi e protettori, e non a lei, si rivolge il “Motu proprio” di Adriano VI del marzo 1522, alle stesse cariche fa riferimento l’Ordine della Regia Corte della Dogana del dicembre 1522 e infine la Bolla papale di Clemente VII dell’11 dicembre 1523 si riferisce a dei Maestri quando dà loro il diritto di governare l’ospedale. Maria Longo ebbe un ruolo cardine nella prima fase, quella di progettazione e istituzione dell’ospedale, insieme a Ettore Vernazza e padre Callisto da Piacenza; poi quando l’opera fu ben avviata verso una felice e prospera ordinaria amministrazione, la donna si defilò da ogni incarico mantenendo però un ruolo di grande ascendenza presso i governatori che erano gli ordinari amministratori dell’ospedale. Quando l’Ospedale fu aperto nel 1522 Papa Leone X gli concesse tutti i benefici di quello di S. Giacomo a Roma.

Gli Incurabili non dipendevano dall’Ordinario di Napoli, ma direttamente dalla Santa Sede per mezzo della Confraternita di Santa Maria del Popolo. I governatori della Santa Casa venivano scelti tra i suoi iscritti e tra i primi si trovano addirittura l’Imperatore Carlo V, il vicerè Raimondo di Cardona e Isabella d’Aragona.

L’imperatore Carlo V nel 1525 destinò all’ospedale una elemosina annua di 33 tomoli di sale e nel 1531 gli concesse una rendita di 300 ducati a spese del pubblico erario. I capitoli per il reggimento dell’ospedale vennero stabiliti dal vicerè don Pedro de Toledo nel 1539.

La struttura era posta sotto la protezione di S. Maria del Popolo e ogni parte della popolazione napoletana, e non napoletana, era chiamata a fornire un suo rappresentante tra i governatori della struttura sorta a tutela della sua salute. Essi erano: un patrizio napoletano per la nobiltà del Regno, un Cavaliere di Piazza per i nobili cittadini, un Regio Consigliere di S. Chiara o un Presidente della Sommaria per la nobiltà spagnola, un avvocato napoletano a rappresentare il ceto forense, uno dei Primari Negozianti napoletani a rappresentanza della borghesia mercantile, uno dei Negozianti Stranieri in nome degli stranieri.

I sei governatori, più un protettore delegato, formavano il governo dell’ospedale. Ognuno di loro era incaricato del controllo dell’organizzazione di un settore delle attività del nosocomio. Della parte sanitaria si occupavano i medici e i cerusici, della direzione spirituale la stessa Longo, finché non si ritirò in convento, e poi la duchessa di Termoli Maria Ajerbo.

L’ospedale aveva un suo tesoriere, un proprio guardaroba, una cucina, un forno e una macello; era una piccola città nella città, autosufficiente in ogni sua necessità, cui non mancavano mai fondi poiché era oggetto di cospicui lasciti e donazioni. Lo spazio a disposizione della struttura non bastava e così, nel corso del XVI secolo, più volte furono acquistati case e terreni adiacenti all’ospedale per costruirvi nuovi corpi di fabbrica per ospitare malati, servizi e anche per sistemare meglio le monache che avevano un loro convento all’interno del perimetro dell’ospedale.

Chiostro del Monastero delle Trentatrè

Nel 1539, anno dei Capitoli vicereali, va situata anche la morte di Maria Longo, poiché un documento nota–spese del 1541, a proposito di lavori fatti nel monastero dove viveva, si parla di lei come la “quondam” signora Longo.

Il 1539 per gli Incurabili fu l’anno dei cambiamenti: scomparsa la fondatrice, la duchessa di Termoli si defilò in un ruolo puramente formale, e il vicerè ridisegnò il profilo organizzativo dell’istituzione passando così ad un controllo diretto sulle entrate e sulla gestione, poiché aveva il potere di decidere tre dei sei nomi dei Governatori o di prolungare sine die la carica di quelli già al governo.

Le rendite dell’ospedale derivavano da lasciti testamentari, da rendite immobiliari e dai diritti concessi dal potere regio e papale.

Una singolare forma di finanziamento veniva agli Incurabili dal controllo degli introiti derivanti dalle rappresentazioni teatrali ,grazie ad un decreto di Filippo II.

Dalla metà del XVI secolo la Santa Casa aveva ormai assunto il ruolo di ospedale generale capace di accogliere ogni “sorta di infermità”. Questo fu possibile grazie al fatto che tra le sue mura non si faceva soltanto assistenza, ma scienza e sperimentazione, che sono la garanzia di una cura appropriata e all’avanguardia. Nel 1568 l’ospedale accoglieva “piagati e malati di cancari” dei quali si occupavano otto prattici chirurgici, in aggiunta ai tre chirurghi principali che normalmente seguivano i pazienti, tre dei quali si occupavano degli uomini e uno delle donne. I medici internisti, i phisici, erano in numero di due più un prattico fisico residente nella Santa Casa che assicurava una sorta di guardia continua sulle ventiquattro ore.

Ai malati del non meglio specificato “male in canna” era destinato l’ospedale di S. Maria della Misericordia ad Agnano, che era succursale degli Incurabili, dove si praticava la cura delle “fumarole”, verosimilmente aerosol. Un altro ospedale, intitolato a S. Maria della Misericordia e anch’esso filiale della Santa Casa, fu aperto nel 1569 a Torre del Greco e venne destinato alla cura dei tisici e degli idropici.

All’ospedale di Torre del Greco si praticava in autunno la cura delle vinacce per patologie non meglio precisate. Nel 1570 entrambe le strutture furono beneficiate da papa Pio V del diritto di usufruire degli stessi diritti della Casa Madre napoletana.

Per il trattamento della sifilide nell’ospedale napoletano si praticava la cura allora ritenuta più all’avanguardia: la somministrazione di decotti di scorza di guaiaco, definito per le sue caratteristiche “legno santo”, cui si aggiungeva un altro decotto di un’altra pianta americana: la salsapariglia. A tal fine erano stati allestiti dei locali appositi di isolamento, poiché durante la cura i pazienti dovevano soggiornare in locali caldi per poter sudare ed espellere gli umori maligni. Da qui la necessità di stufe e bracieri anche in estate e di stanze separate dagli altri spazi dell’ospedale.

Per assicurare un approvvigionamento continuo e costante di farmaci, i più vari e più o meno reperibili o costosi, l’ospedale aveva una propria spezieria per il cui mantenimento si spendevano, nel 1568, 4.000 ducati l’anno. Essa riforniva di medicine, oltre agli interni, anche i pazienti poveri della città che non volevano farsi ricoverare.

Per mantenere una comunità così numerosa e per di più composta per la maggior parte da persone ammalatesi, prima che per ogni altra causa, per scarsa o insufficiente alimentazione, il forno dell’ospedale forniva il “miglior pane della città” così come la macelleria “la miglior carne”, inoltre la dieta per i degenti non scarseggiava di formaggio, olio, pasta e di ogni tipo di carne. Solo in un anno si macellavano circa 11.000 polli e si consumavano 46.000 uova. Gli ammalati venivano nutriti on pane bianco, carne di vitella, polli e uova fresche, il personale doveva, invece, accontentarsi del pane nero e della carne vaccina.

Un’organizzazione simile nello stesso periodo poteva vantarla solo l’altro colosso della sanità-carità napoletana, la real Casa dell’Annunziata, che assisteva abitualmente circa 1.000 pazienti oltre a svolgere per 8.000 esposti la funzione di brefotrofio e per altri 1.500 in età adolescenziale quella di Conservatorio.

Quando nel 1574 un incendio devastò l’Annunziata, l’ospedale fondato da Maria Longo mandò in soccorso un’offerta di 2.000 ducati contenuti in quattro bacili d’argento.

Quando un paziente veniva ricoverato agli Incurabili veniva prima visitato dal medico che stabiliva la cura, la dieta e il tipo di trattamento che doveva ricevere. Successivamente veniva spogliato, lavato e rivestito con una tunica nuova. I medici facevano il giro visita due volte al giorno e in caso di infermità era d’obbligo un consulto di tutti i phisici o di tutti i chirurghi. Un medico che mancava senza motivo per una volta al giro visite veniva sostituito da un altro collega scelto dal Maestro di Casa, e il costo della consulenza esterna era detratto dallo stipendio di chi si era assentato; una seconda assenza garantiva il licenziamento in tronco. I medici che curavano gli infermi dovevano “dar loro soddisfazione di buone parole, discorrendo della qualità del male senza affrettarsi” cioè spiegare loro cosa avessero, come intendevano trattarli parlando in modo semplice e completo.

Medicazioni e fasciature dovevano essere eseguite dai medici e dai chirurghi ordinari, non dai prattici né dalla gente di casa cui mancava la competenza professionale e l’esperienza nel campo. All’interno l’ospedale era diviso in diverse strutture: quello degli uomini, suddiviso in Ospedale dei Paesani, dei Soldati e dei Matti, il Camerone dei Moribondi e quello per i Malati di morbo gallico. L’Ospedale delle donne aveva reparti divisi per le Gravide, Luetiche, Moribonde, Matte e affette da scabbia e tigna. Nessuno paziente poteva uscire dall’ospedale poiché farlo equivaleva a farsi dimettere.              

Oltre alla principale opera di cura e assistenza e l’attività di ricerca scientifica svolta dai suoi medici, l’ospedale svolgeva, di pari passo con le altre strutture di carità cittadina, opere di beneficenza rivolte ad altri tipi di bisognosi o disgraziati: forniva doti di maritaggio e aveva un banco pubblico per aiutare i poveri. Il Banco di S. Maria del Popolo, costituito nel 1589, fu dapprima ospitato in alcuni locali siti sotto lo scalone imperiale che si trova nel cortile principale dell’ospedale, poi dal 1597 fu spostato in un altro palazzo di proprietà dell’ospedale, sito all’inizio di via S. Gregorio Armeno di fronte alla chiesa di S. Paolo e di S. Lorenzo Maggiore. Soccorreva inoltre persone in carcere per piccoli debiti “onesti”, era quindi una delle istituzioni più importanti per la popolazione non nobile.

Sicuramente il ruolo svolto dagli Incurabili nel campo dell’assistenza e della sanità, assieme alla Real Casa dell’Annunziata, rendono questa struttura un esempio mirabile di come in esso si siano fuse e, talvolta, scontrate tutte le forze che agivano allora sullo scenario politico e sociale, dando vita però a un insieme armonico costituito dal più felice connubio di religiosità e misticismo riformato-barocco, evoluzione della scienza empirica applicata alla medicina e spinta verso la concessione di incarichi di governo e responsabilità del nascente ceto civile e borghese cittadino.

 

 

 

 

“L’Ospedale di S.Maria del Popolo degli Incurabili nel contesto delle strutture assistenziali caritative ospedaliere a Napoli nei secoli XVI e XVII”

Dott. Luigi De Paola

Dott. Angelo Morra

 

Nel vocabolario della lingua italiana degli Accademici della Crusca, la cui prima edizione è del 1612, la voce ospedale non si trova, c é invece spedale:

Spedale: luogo pio, che raccetta i viandanti, e gl’infermi, per carità.

Questa è dunque la concezione colta che l’età moderna ha di un ospedale, una struttura che ha compiti ancora incerti, confusi tra il caritatevole – alberghiero e il sanitario – riabilitativo. Fattore certo è il principio che deve reggere comunque la struttura, cioè la carità, che è un valore etico e non un obbligo dello Stato.

Nel regno di Napoli le istituzioni che nel Cinquecento e nel Seicento si occuparono dei poveri, dei malati e dei bisognosi in genere, non erano in nessun modo riconducibili all’organizzazione statale. Fino alla fondazione dell’Ospizio di S. Gennaro extra moenia nel 1667, il governo si terrà ben fuori da ogni tipo di assistenza al popolo. Le uniche due misure in cui lo stato era presente per tutelare la qualità della vita della popolazione cittadina erano l’annona e l’assicurazione di un approvvigionamento continuo di farina e beni alimentari; e queste competenze erano del Tribunale di S. Lorenzo (la giunta cittadina).

Stipendiato sempre dal tribunale di S. Lorenzo, ma non istituto del governo vicereale in quanto già presente in epoca aragonese, era il medico dei poveri. Già a metà del XV secolo troviamo, infatti, un medico ebreo, Leone Minuto, deputato in Napoli ad andare alla porta di S. Gennaro per curare gli ammalati di peste, per un salario di dodici ducati al mese.

Ogni iniziativa, sia in campo assistenziale che sanitario, era organizzata dalla parte più alta del terzo stato napoletano, o gestita in proprio dalle Corporazioni di arti e mestieri in cui erano divisi i lavoratori, oppure si trattava di opere pie di natura religiosa.

Le istituzioni caritative erano rivolte agli strati più bassi (talvolta anche infimi), della popolazione che per situazione contingente e occasionali, o per incapacità dovuta a vecchiezza o giovane età, si trovavano in condizioni di necessità estrema. Vecchi, orfani, vedove, esposti e trovatelli, giovanette da maritare o monacare, ragazzini da avviare al lavoro, tutti costoro erano i destinatari di simili istituzioni organizzate da una serie di agenti, i più disparati, che avevano come scopo finale quello di non fare uscire i beneficiati dal circolo virtuoso della mutua assistenza risollevandoli dallo stato di bisogno per inserirli nella vita operosa, o garantirgli almeno di non scivolare nella mendicità e nell’illegalità

Le principali istituzioni di carità nella città di Napoli erano la Santa Casa dell’Annunziata, brefotrofio con funzioni anche sanitarie, dedita inoltre all’assistenza ai poveri vergognosi e con annesso conservatorio per giovanette e seminario interno per formare sacerdoti propri, e poi tutti gli ospizi e i conservatori che le Arti e le Corporazioni erigevano per dotare e educare le figlie degli iscritti, oltre ai Monti di Maritaggio, istituiti dalle arti ma anche da Ospedali, dall’Annunziata stessa e da Confraternite.

Il principale compito dell’Annunziata era quello di raccogliere gli esposti alla ruota, mantenere i maschi fino agli otto anni, per poi mandarli a bottega o in seminario, e le femmine, che però potevano restare nella Casa fino a diciotto anni. L’Annunziata, infatti, aveva anche un Conservatorio dove alloggiare le giovani che poi ne uscivano maritate, con una dote di novanta ducati, oppure monache. Tuttavia quelle che si sposavano tornavano poi alla Casa in veste di balie, per il rapporto di appartenenza e di gratitudine che le legava per sempre all’Istituzione.

Ma la Real Casa, per quel ruolo ambiguo e incerto che è definito dal lemma presente nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, svolgeva anche altre attività, come quella di ospedale sanitario e di Banco pubblico , a partire dal 1587, col nome di Banco dell’Ave Gratia Plena. Inoltre, finanziava altri ospedali e sovvenzionava il clero povero. La direzione della santa Casa spettava alla “borghesia” napoletana, e spesso tale carica faceva parte del “cursus honorum” dell’Eletto del Popolo.

Un altro tipo di istituto caritativo – educativo presente a Napoli in Età Moderna erano i Conservatori, sorta di collegio dove venivano educate un numero più o meno alto di fanciulle destinate ad un buon matrimonio. Si è visto che l’Annunziata ne aveva uno proprio, ma altri istituti vennero fondati a più riprese durante tutta l’Eta Moderna ad opera delle Arti. Nel 1591 l’Arte dei Calzolai ne costruì uno che avrebbe ospitato per tutto il secolo circa cento ragazze l’anno. Nel 1594 istituì un Conservatorio per le figlie orfane l’Arte della Lana, che però ebbe alterne fortune, così come destinato a non entrare mai in funzione fu quello dei Cositori che nel 1611 era stato pensato ad imitazione di quello dei Calzolai. Vistasi, però, impossibilitata alla realizzazione l’Arte vi rinunciò nel 1655.

La protezione degli orfani e delle vedove era un principio evangelico, ma anche un dettato presente negli statuti di molte Corporazioni. Infatti ogni Corporazione destinava parte degli introiti versati dai propri appartenenti alla formazione di doti e alla costituzione di “vitalizi pensionistici” per chi, per età, non poteva più lavorare e per le vedove di soci affinché conducessero una vita onesta.

L’istituto dei Monti era così radicato nella società napoletana che perfino dipendenti della pubblica amministrazione ne costituirono di propri. Infatti nel 1604 gli scrivani e i fiscali della Real Corte eressero un proprio Monte per l’assistenza a loro e alle proprie famiglie; e dal 1609 li imitarono gli uscieri della Real Zecca, e ancora nel 1617 gli scrivani della Real Camera della sommaria e nel 1618 i mastrodatti della Vicaria.

Altra finalità dei Monti era quella di dare un’istruzione, anche se minima, ai figli degli iscritti, di far sì che sapessero leggere e scrivere prima di avviarli al lavoro.

Totalmente al di fuori di questo circuito virtuoso di mutuo soccorso erano i poveri strutturali, i mendicanti e i vagabondi.

I poveri e i vagabondi infatti erano visti come elemento di disturbo e pericolo, privi di intelligenza e buoni solo alla sedizione e alla rivolta. I “miserabiles” erano tali perché “quae culpa sua in miseria inciderunt”.

L’imperatore Carlo V già nel 1540 nei Paesi Bassi aveva emanato un editto per regolamentare la mendicità, limitando la mobilità dei vagabondi alla loro contrada di origine. Anche nel regno di Napoli nel XVI e XVII secolo furono emanate una serie di prammatiche che, con l’intento di mettere un freno al vagabondaggio e all’accattonaggio, stabilirono il divieto di chiedere l’elemosina, pena la galera. Il vagabondo era colui che commetteva la “maggior parte dei delitti”, veniva demonizzato senza chiedersi cosa lo spingesse a cercare fortuna fuori dal suo luogo di origine: fannulloneria o fame.  

Comunque sia, controllare il flusso migratorio in una città come Napoli, molto popolata, era impossibile e le cifre disponibili sui suoi abitanti lo dimostrano, le prammatiche dunque restarono lettera morta.

Sui Monti dei Maritaggi va aggiunto che erano strumento indispensabile per le ragazze povere che volevano fare un buon matrimonio, con una piccola somma da portare in dote. Tra gli istituti che destinavano fondi a questa lodevole attività c’era l’ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili che aveva scopi e funzioni principalmente sanitari e scientifici, essendo nosocomio e sede del Collegio medico. Allo stesso tempo manteneva l’ ”Opera Pia de maritaggi per povere Donzelle”, per dotare fanciulle povere onorate, e ancora varie confraternite, tra cui quella della S. S. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti, che gestiva l’omonima casa – ospitale per pellegrini e convalescenti e che, come il suddetto Incurabili, non tralasciava di fornire di doti giovani povere in numero variabile ogni anno, in base ai legati testamentari dei suoi benefattori, non sempre confratelli e non sempre nobili.

Tutta una serie di istituzioni cooperavano dunque per assicurare a bambini, bambine, ragazzi e giovanette, vedove e vecchi lavoratori ormai avanti negli anni, una assistenza e una sicurezza economica e sociale che ne evitasse lo scivolamento nell’indigenza e l’esclusione dalla società organizzata in gruppi di mutuo soccorso.

I primi interventi dello Stato, in campo assistenziale, si videro nel 1616,quando venne edificato il Conservatorio di S. Maria di Costantinopoli, e nel 1649 quando fu costruito quello di S. Nicola a Nilo, per ospitare gli orfani della rivolta di Masaniello di due anni prima. L’Annunziata già funzionava da tre secoli e l’Incurabili da più di cento anni, ed entrambi erano sorti da iniziative private.

Solamente dopo la peste del 1656 fu aperto l’ospizio dei vecchi di S. Gennaro extra moenia in una struttura che durante l’epidemia era servita da lazzaretto. Nessuna politica governativa era finalizzata alla tutela della salute dei sudditi, S. Gennaro extra moenia, come l’Albergo dei Poveri che sarebbe sorto nel secolo successivo, era finalizzato al controllo e alla rieducazione della plebe pericolosa, non certo al suo benessere fisico o morale.

Tuttavia a Napoli, a differenza di quanto avveniva nelle altre province dell’impero asburgico in Francia e in Inghilterra, non ci fu internamento fino quasi al XVIII secolo. Il sistema di assistenza integrato ospedale - case ospitali – monti – conservatori, servì a mantenere, in una città quanto mai impetuosa come Napoli, un equilibrio di poteri e di influenze laicali – ecclesiastiche, alto borghesi e piccolo borghesi, che resse e beneficò tutto il popolo per un periodo molto più lungo che nel resto d’Europa. Certo non va dimenticato che durante le carestie si vietava l’ingresso in città ai non residenti, relegandoli nella struttura – ospizio di S. Gennaro extra moenia, e che durante la peste del 1656 tutto il sistema assistenziale – sanitario andò in crisi. Sorprendente, invece, si può considerare la capacità organizzativa della popolazione cittadina, capace, tanto in campo sanitario come in quello economico , di sopperire alle mancanze, o meglio all’assoluta assenza, del governo centrale.

Tra le altre opere di Carità vanno segnalate quelle in favore dei carcerati, di cui si occupava il Pio Monte della Misericordia. Questa istituzione, fondata nel 1601, si ispirava alle sette opere di Misericordia per attuare opere per il miglioramento delle condizioni dei poveri. A favore dei carcerati il Pio Monte manteneva una corsia nelle carceri della Vicaria, con dodici posti letto, che poi salirono a venticinque, e ogni mese offriva da mangiare ad un certo numero di carcerati. Inoltre due volte alla settimana la Santa Casa dell’Annunziata, struttura quanto mai polifunzionale, inviava ai carcerati un pranzo completo e riscattava i debitori insolventi per una cifra fino a venti carlini. Anche l’Incurabili ogni anno destinava dieci ducati per scarcerare poveri carcerati per “debiti onorati”. Diverse Corporazioni, infine, prevedevano una sorta di sussidio “una tantum” per le famiglie di chi finiva in carcere per causa “onesta”, ma solo per un mese e per un ammontare pari alla metà del sussidio dovuto per malattia.

Tratti comuni a queste iniziative provenienti da più parti erano quindi che il beneficiario fosse detenuto o per debito onorato o per causa definita honesta. I reati violenti e il furto erano esclusi dal beneficio. Come esisteva la differenza tra povero vergognoso da soccorrere e miserabile per causa sua da scacciare o recludere, così la pietà selettiva operava distinzioni tra detenuti tutto sommato “honesti”, da recuperare e riscattare per farli ritornare quanto prima al lavoro e alle loro famiglie, e altri ritenuti non meritevoli di pietà e carità, da abbandonare al proprio destino.

 

Cosa accadeva ad un lavoratore se si infortunava, ad un suo familiare se si ammalava o se semplicemente diventava vecchio e debole?

Giovan Filippo Ingrassia, che fu protomedico di Sicilia nominato nel 1563 da Filippo II, riferendosi alla povera gente diceva: “ Io non sono mai stato chiamato da gente bassa di tal genere”, dove le parole “di tal genere” lasciano ben poco da ipotizzare circa la considerazione che il dotto Ingrassia aveva dei poveri. Questo può spiegare perché, almeno fino alla loro cacciata, i medici dei poveri fossero trovati tra gli ebrei, che si accontentavano di compensi più bassi dei loro colleghi cristiani. Se si tiene conto del fatto che Ingrassia ricopriva la carica di Protomedico, ovvero la massima autorità in fatto di medicina e sanità pubbliche in Sicilia, si può ben comprendere quale fosse l’interesse del governo centrale per il bene dei sudditi meno abbienti.

A Napoli la tutela della salute fisica dei sudditi lavoratori e delle loro famiglie era organizzata dai Monti di assistenza, istituiti e organizzati dalle singole Arti e Corporazioni di lavoratori, che dietro il versamento di quote periodiche garantivano, in caso di malattia, infortunio o eventi luttuosi gravi, cure mediche o una sovvenzione in denaro, regolata da una serie di norme scritte e riconosciute valide da tutti. Quando un lavoratore si ammalava o si infortunava, avvisava un rappresentante delle Arti che, accertatosi di persona della realtà dei fatti, disponeva la visita medica. Il sanitario allora, esaminato il paziente e redatto un certificato “fede” di malattia con tanto di etiologia e prognosi, decideva per il ricovero o per il riposo a domicilio, con un indennizzo che variava da Arte ad Arte, dalla qualifica del lavoratore e dalla lunghezza della periodo di malattia.

Nei regolamenti di ogni singolo Monte erano stabilite le somme da versare mensilmente ai soci che si infortunavano, a quanti smettevano di lavorare per vecchiezza, alle vedove e a coloro che, come si è detto, finivano in carcere, sempre che la causa fosse stata onesta. Accanto a questa opera assistenziale, troviamo quella predetta della dotazione delle figlie dell’Arte, assente invece quella del prestito, con o senza interesse, mentre era previsto che le somme raccolte dai soci venissero investite nei Banchi pubblici per farle fruttare e farne maturare interessi.

I Banchi pubblici rappresentavano un’altra attività collaterale che si sviluppò a tutela delle fasce più deboli della popolazione ad opera di congregazioni laiche che già operavano presso ospedali. Oltre al già citato Banco dell’Ave Gratia Plena dell’Annunziata si può ricordare il Banco di S. Maria del Popolo, istituito nel 1589 dall’Ospedale degli Incurabili, seguito nel 1592 da quello di S. Eligio che diede vita ad un Banco omonimo e poi nel 1597 dall’Ospedale di S. Giacomo e Vittoria che istituì il Banco che portava il suo nome. Tutto per dare piccoli prestiti a bassi interessi, anche dietro pegni, ed evitare l’indebitamento con il possibile rischio di carcerazione per insolvenza.

Anche i Banchi concorrevano a tutelare i lavoratori dal rischio di scivolare dall’eccezionalità della malattia nella povertà, per restare nel circolo virtuoso della mutua assistenza reciproca. Chi restava al di fuori di questo sistema assistenziale -previdenziale nel momento del bisogno poteva ricorrere al medico dei poveri. Nel 1630 Napoli aveva 300.000 abitanti e nove medici pubblici, con un rapporto di 1: 33.300, che resta incredibile anche se si sottrae il numero degli abitanti nobili e religiosi.

Un servizio di pronto soccorso, anche ostetrico, veniva effettuato dall’ Annunziata e dagli Incurabili, ed in entrambi le madri che non intendevano riconoscere il figlio potevano lasciarlo alle cure dei sanitari.

Per quanto riguarda le strutture ospedaliere napoletane del Cinquecento e Seicento, occorre dire che già dall’epoca medievale e aragonese, la città era sede di numerose strutture “ospitali” per poveri – malati e che dal 1343 era attivo l’ospedale dell’Annunziata che, con la sua attività sanitaria, educativa, bancaria e caritativa, era l’istituzione senza dubbio più importante di Napoli. Nei due secoli in questione furono fondate altre strutture aventi alcune caratteristiche comuni, ma diverse nell’ispirazione principale.

Gli ospedali moderni avevano in comune la polifunzionalità, tratto caratteristico della carità – sanità napoletana ereditato dall’Annunziata e la natura non statale della loro origine. Erano nobili i fondatori della Real Casa dell’Annunziata, dell’ Incurabili, e del S. Giacomo; borghesi invece i fondatori della Casa dei Pellegrini. Di diverso avevano la vocazione e la finalità primaria, anche se alla fine poi tutti facevano il possibile per assistere il prossimo in bisogno.

A seconda delle origini le strutture si possono suddividere come segue:

  1. quelle definibili case “hospitali”, ovvero destinate all’accoglienza, alla realizzazione delle opere di misericordia, di soccorrimento dei miseri e dei deboli, senza finalità curative né educative e che solo in un secondo momento si sarebbero occupate di tutte le altre attività sanitarie;

La struttura più efficiente restava la Real Casa dell’Annunziata che si occupava di ognuno degli aspetti sopra descritti e lo faceva nel migliore dei modi.

Un esempio della prima categoria di strutture è l’Ospedale dei Pellegrini, dedito all’accoglienza dei pellegrini che, in viaggio o di ritorno dai principali santuari d’Europa, si trovavano a passare per Napoli

La principale missione dei confratelli era l’ assistenza spirituale ai pellegrini, ma avevano anche un convalescenziario al quale potevano rivolgersi quelli che erano stati dimessi da un altro ospedale nella stessa giornata e non soffrissero di un male infettivo. Questi erano gli intenti dei padri fondatori, “hospitare” i poveri viandanti e aiutare tramite altre opere, come i già descritti Monti, chi ne avesse bisogno.

Ad una funzione assistenziale – caritativa non sanitaria era destinata anche un’altra struttura che sorse nel 1547: l’Ospedale di San Giacomo degli Spagnoli.

 

L’ospedale fu edificato nel 1547, nell’area prospiciente il Largo delle Corregge presso la chiesa dell’Incoronata, e poteva ospitare fino a 200 pazienti ai quali veniva anche insegnato a scrivere e a leggere gratis. Nel 1590 si unì con l’Ospedale della Vittoria, fatto costruire nel 1572 dal figlio di Carlo V don Giovanni d’Austria, vincitore a Lepanto. Tale struttura, affidata all’Ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli di S. Giovanni di Dio, era destinata ai militari spagnoli e, in particolar modo, ai reduci della battaglia di Lepanto. Come quella dei Pellegrini anche l’arciconfraternita di S.Giacomo beneficiava, dotandole, ragazze orfane o povere, ma solo se spagnole.

Scopo esclusivamente sanitario, arricchito poi da quello di ricerca scientifica e insegnamento, era quello dell’Ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili, sorto per iniziativa di una nobile spagnola, Maria Requenses Longo, nel 1519 – 1522, e destinato ad accogliere ammalati che non potevano essere curati altrimenti e altrove, o che addirittura non si sapeva ancora come curare. Ogni tipo di malattia, dall’ernia all’asma, passando per la rottura di ossa alle scottature e ancora la scabbia e il morbo gallico, era oggetto di attenzione da parte dell’Ospedale degli Incurabili che accettava tutti o quasi ad eccezione dei lebbrosi, cionchi, malati di semplici febbri e quelli con ferite “di primissima cura”, ma solo perché in città “vi erano altre strutture sanitarie dove si potevano con carità aiutare simili pazienti”. L’Ospedale aveva un reparto per i matti che curava anche a domicilio. L’Ospedale, fu inoltre sede del Collegio medico dove, nel diciassettesimo secolo, insegnarono Severino e Cornelio. Visite a domicilio venivano effettuate anche dai sanitari dell’Ospedale dei Cionchi, fondato nel 1655da Tiberio Melfi.

Napoli, tra il XVI e il XVII secolo, si dotò come ogni città di mare di un lazzaretto. Nel 1624 il vicerè duca d’Alba lo fece costruire sull’isola di Nisida, non ritenendo affidabile il semplice “purgatorio” sulla spiaggia di Posillipo. La nuova struttura funzionava da stazione di quarantena per merci ed equipaggi di navi ritenute portatrici di infezione. Fu attrezzato con moli, magazzini e alloggiamenti un isolotto tra Posillipo e Nisida, mentre l’isola fu dotata di un molo grande dove far attraccare i bastimenti in quarantena.

Strutture sanitarie dipendenti da ospedali o Confraternite napoletane furono edificate anche nel contado: nel 1618 a Casamicciola, Ischia, il Pio Monte della Misericordia, un’opera istituita nel 1601 dedito all’esercizio delle sette opere di Misericordia, iniziò la costruzione di un ospizio termale in cui, a opera finita, furono ospitati 272 infermi, di cui 200 poveri , e ancora l’Ospedale degli Incurabili a Torre del Greco che aveva un convalescenziario dove inviare quei pazienti che necessitavano di particolari terapie.

Quale che fosse la vocazione delle strutture ospedaliere o “hospitali” è chiaro che per portare avanti tutte le iniziative che svolgevano c’era bisogno di molti soldi. L’interesse maggiore del potere vicereale era quello di riscuotere denaro dal regno, non di elargirlo sotto forma di finanziamenti o servizi; questo è uno dei principali motivi per cui queste istituzioni, ospedali, Monti di assistenza, Banchi pubblici, conservatori, erano tutti frutto di iniziative private, di confraternite laiche o religiose, di nobili o borghesi, ma comunque tutti privati. A questo va aggiunto il fatto che il ceto borghese e nobiliare era praticamente assente dalla direzione del regno e quindi occuparsi di una parte così importante della vita del paese (sanità, economia, previdenza sociale) era un modo per supplire di fatto alla mancanza di “incarichi di governo” che il potere vicereale non demandava. I nobili napoletani fornivano denaro sotto forma di donazioni e lasciti, e i borghesi erano presenti nei consigli direttivi degli ospedali, mentre le confraternite ospitate nei nosocomi garantivano un “plateau” di lavoratori di buona volontà e caritatevoli da cui era facile potessero arrivare lasciti.

Infine si è visto spesso come l’Istituzione ospedaliera o hospitale era anche Banco pubblico. In tal modo ogni necessità di assistenza, di carità e misericordia, era risolta dai napoletani “in proprio” mediante un sistema virtuoso di mutuo soccorso, che sarebbe durato fino alle soglie del XVIII secolo.      

L’ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili sorse a Napoli nel 1519 ad opera di due laici: il genovese Ettore Vernazza e la nobildonna catalana Maria Requenses Lonc. La nascita di un ospedale per incurabili e inguaribili non era un caso isolato in quel periodo storico in Italia e in Europa; Colombo aveva scoperto il continente americano da ormai ventisette anni e, di ritorno dall’Atlantico aveva portato con sé il morbo della sifilide che, presto, aveva cominciato a mietere vittime in tutta Europa. L’epidemia in poco tempo si era trasformata in endemia e tutti gli stati del Vecchio Mondo aveva cominciato a porsi il problema di come, e soprattutto dove, curare gli affetti da questa nuova malattia che si diffondeva in ogni strato sociale della popolazione, senza fare alcuna differenza di razza, ceto o classe.

A Napoli i primi casi del morbo si registrarono dal gennaio 1496, a sei mesi dalla partenza delle truppe di Carlo VIII che era stato in città dal febbraio al giugno del 1495. La discesa del sovrano francese in Italia fu determinante per la diffusione della malattia nella penisola.

Nel 1500 venne fondato a Genova uno dei primi ospedali degli Incurabili; nello stesso anno si aprì una struttura simile a Bologna e nel 1505 Alfonso I di Ferrara concesse alla Confraternita di S. Giobbe il permesso di chiedere denaro nel territorio del ducato per poter costruire lo “spedale dei franciosati”. Le altre città italiane si attivarono in tal senso più tardi. Il 19 luglio 1515 il Papa Leone X, con la Bolla “Salvatoris Nostri”, approvò l’istituzione, a Roma, dell’ospedale di S. Giacomo in Augusta, sorto per opera di una corporazione di laici nota col nome di S. Maria del Popolo, che Ettore Vernazza aveva riorganizzato in “Oratorio del Divino Amore”. Roma, da sempre meta di pellegrini, era infatti da qualche anno anche meta di chi voleva accattonare con maggiore guadagno facendo mostra delle sue piaghe infette e maleodoranti, cui fa esplicito riferimento la Bolla papale di Leone X.

L’ospedale di S. Giacomo fu nominato Arcispedale, cioè messo a capo di tutti gli istituti di accoglienza e cura già esistenti per il trattamento degli incurabili. Quando Vernazza alla fine del 1517 raggiunse Napoli, per fondarvi un ospedale con le stesse finalità di quello romano, portò con sé una copia della Bolla di fondazione dell’Arcispedale per prenderlo a modello.

Anche a Napoli Vernazza adoperò lo schema confraternita e poi fondazione, con il passaggio attraverso l’intermediazione di Maria Longo che gli garantì l’apertura presso l’alta borghesia e la nobiltà di credito e credibilità da utilizzare per la realizzazione del suo progetto. Maria Longo aveva le “stimmate” di miracolata della Madonna di Loreto per cui averla al proprio fianco era garanzia di successo.

L’appoggio di una figura carismatica come la Longo non era però sufficiente in questa prima fase a garantire l’iniziativa e Vernazza realizzò anche qui una confraternita laica scegliendo, però, di non fondare ex novo un Oratorio del Divino Amore, ma rifondando una compagnia già esistente, quella dei Bianchi di Giustizia, infondendole però lo spirito degli Oratoriani. Il compito che i Bianchi di Giustizia si erano proposti era l’assistenza fisica e spirituale ai condannati a morte negli ultimi giorni della loro vita.

Inoltre sempre negli anni 1517-1519 si stava costituendo una seconda confraternita, cui aderivano sia catalani che napoletani, intitolata a S. Maria del Popolo, di cui faceva parte Maria Longo. Il primo elenco ufficiale, risalente all’ottobre 1519, è comunque indicativo del clima favorevole nelle coscienze dei maggiorenti napoletani alla fondazione dell’ospedale.

La Bolla papale che sanciva la fondazione dell’ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili, ed estendeva ad esso i diritti e i privilegi dell’Arcispedale di S. Giacomo a Roma, è dell’11 marzo 1519 ed è il Breve “Nuper pro parte Vestra” di

papa Leone X. Nel mese successivo ebbe inizio formalmente l’attività dei Bianchi che dapprincipio ebbero la loro sede presso il convento agostiniano di S. Pietro ad Aram, poi nel 1523 ebbero sede stabile nel cortile degli Incurabili.

Il capitolo XXVI della confraternita stabiliva che per la sovvenzione dei poveri incurabili ogni sabato otto confratelli facessero la questua per la città. Quella di S. Maria Succurre Miseris, detta dei Bianchi, era la sola compagnia a poter far girare per la questua i suoi iscritti incappucciati.

Tra il marzo 1519 e il 27 settembre 1519, data d’inizio delle attività ricettiva e clinica dell’Ospedale, Maria Longo, forte dei suoi contatti con gli strati alti della società, ed Ettore Vernazza, che aveva alle spalle un’esperienza ormai rispettabilissima nel campo della “organizzazione ospedaliera”, si adoperarono per cercare letti e suppellettili e, soprattutto, i locali dove avviare l’opera. Provvisoriamente l’attività cominciò in alcuni locali del vecchio ospedale di S. Nicola al Molo. Sebbene la sede fosse provvisoria non lo era, però, l’istituzione che si trova già citata nel 1520, con tanto di nome proprio (diverso da quello di S. Nicola presso il quale pure si trovava) e la specializzazione: vi sono assistiti “morbati del mal francese, cancari et altri morbi incurabili”. La citazione è relativa ad una richiesta di notizie avanzata dalla città di Palermo circa la possibilità di casi di peste ad Aversa e nel napoletano, nella risposta i Deputati alla Sanità del Tribunale di S. Lorenzo citano l’ospedale.

Alla fine del 1519 Ettore Vernazza lasciò Napoli per Roma. Dal 1520 fu, dunque, Maria Longo ad occuparsi dell’ospedale al quale dedicò il resto della sua vita sino al ritiro in convento.

I primi governatori dell’ospedale furono addirittura il vicerè Raimondo di Cardonà, il duca di Atri Andrea Matteo d’Acquaviva, il duca d’Andria Giovan Francesco Carafa e il marchese di Pescara Francesco Ferdinando d’Avalos. L’iniziativa era stata di due laici, ma il vicerè e la nobiltà seguivano l’istituzione da vicino in una sorta di controllo incrociato. Nel 1520 cominciarono le prime costruzioni sulla collina di S. Agnello, zona alta, molto ventilata che, poggiata sulla città muraria angioina, garantiva un semi-isolamento utile e un ricambio d’aria indispensabile per una malattia che produceva piaghe. Già allora, però, il Largo delle Pigne, la selva dove affacciava l’ospedale, era abitato da insediamenti extra moenia, mentre alle spalle del nosocomio c’era tutta la città greco romana. Un ospedale facilmente raggiungibile sia dall’interno che dall’esterno della città, vicino com’era ad uno degli ingressi della città: la Porta di S. Gennaro.

Il trasferimento dalla vecchia sede di S. Nicola, alla nuova sulla collina di S. Agnello avvenne con solenne processione il 23 marzo 1522 alla presenza del vicerè e di tutte le autorità civili e religiose. Già nei due anni in cui la sede dell’ospedale era stata al Largo delle Corregge il tipo di patologia che avrebbe trattato era stato delineato e, ora che si passava alla sede definitiva, l’accoglienza si allargò anche alle donne incinte che al nono mese di gravidanza potevano andare in un ospedale e partorire in sicurezza con l’assistenza di un medico e di una levatrice. Ma l’istituto, così come quello di Genova e di Roma, era stato creato per gli incurabili che nella mentalità e nell’accezione comune dell’epoca significava ogni persona inguaribile, quale che fosse la malattia che lo affliggeva, fisica o mentale, venerea o oncologica. L’ospedale era destinato ai poveri, affinché avessero un posto dove essere curati e, se era il momento, morire col conforto dei sacramenti. Incurabile, nel XVI secolo, era anche chi non poteva essere curato a casa per la complessità del male o perché, appunto, troppo povero per permettersi un medico. Ecco perché nella Santa Casa potevano essere ammessi anche ustionati, pazienti con calcoli renali e altre patologie chirurgiche, e ancora colerosi e tubercolotici.

D’altronde la Bolla papale “Salvatoris nostri”, che aveva accompagnato l’apertura del S. Giacomo di Roma sul cui modello si basavano tutti gli altri Incurabili d’Italia, parlava di “….pauperes infirmos variis morborum incurabilium generibus infectos quibus etiam gallico…”, e quindi era chiaro a chi destinare l’opera. Un “posto di rilievo” nella storia della clinica degli Incurabili di Napoli ce l’hanno però i matti che l’ospedale accolse riservando loro un’attenzione particolare tanto da diventare poi il manicomio di Napoli.

La rappresentanza legale dell’ospedale non fu mai di Maria Longo, sebbene le fosse riconosciuto il titolo di fondatrice e fosse nominata in un documento notarile del 1535 “Gubernatrix Venerabilis Hospitalis Incurabilium Civitatis Neapolis”. Quale fosse la sua carica all’interno dell’ospedale dalla fondazione fino al 1535, anno in cui si ritirò in convento, non è noto. Sicuramente la Longo lavorò “dietro le quinte” accanto ai governatori che, sin dal primo momento, furono i soli rappresentanti legali del nosocomio. Ad economi e protettori, e non a lei, si rivolge il “Motu proprio” di Adriano VI del marzo 1522, alle stesse cariche fa riferimento l’Ordine della Regia Corte della Dogana del dicembre 1522 e infine la Bolla papale di Clemente VII dell’11 dicembre 1523 si riferisce a dei Maestri quando dà loro il diritto di governare l’ospedale. Maria Longo ebbe un ruolo cardine nella prima fase, quella di progettazione e istituzione dell’ospedale, insieme a Ettore Vernazza; poi quando l’opera fu ben avviata verso una felice e prospera ordinaria amministrazione, la donna si defilò da ogni incarico ufficiale, mantenendo però un ruolo di grande ascendenza presso i governatori che erano gli ordinari amministratori dell’ospedale. Non sappiamo di sue ingerenze nella gestione della Santa Casa, possiamo limitarci a supporre una forte presenza carismatica che dettasse le linee di condotta caritative e assistenziali, vigilando che non si allontanassero da quelle che erano state alla base della nascita della struttura.

Quando l’Ospedale fu aperto nel 1522 Papa Leone X gli concesse tutti i benefici di quello di S. Giacomo a Roma. Già nel 1523 Clemente VII dava ai chierici la libertà di lasciare l’ospedale erede di beni ecclesiastici e sempre lo stesso papa nel 1531 annetteva all’ospedale il monastero di S. Basilio presso Lecce.

Gli Incurabili non dipendevano dall’Ordinario di Napoli, ma direttamente dalla Santa Sede per mezzo della Confraternita di Santa Maria del Popolo. I governatori della Santa Casa venivano scelti tra i suoi iscritti e tra i primi si trovano addirittura l’Imperatore Carlo V, il vicerè Raimondo di Cardonà e Isabella d’Aragona.

L’imperatore Carlo V nel 1525 destinò all’ospedale una elemosina annua di 33 tomoli di sale e nel 1531 gli concesse una rendita di 300 ducati a spese del pubblico erario. I capitoli per il reggimento dell’ospedale vennero stabiliti dal vicerè don Pedro de Toledo nel 1539.

L’ospedale aveva, così, da quell’anno un’organizzazione stabile e ben rodata, una serie di funzionari che si occupavano di ogni aspetto della vita della struttura, esisteva, infatti, una sorta di consiglio direttivo formato dai rappresentanti di ogni ceto della popolazione della città. La struttura era posta sotto la protezione di S. Maria del Popolo e ogni parte della popolazione napoletana, e non napoletana, era chiamata a fornire un suo rappresentante tra i governatori della struttura sorta a tutela della sua salute. Essi erano: un patrizio napoletano per la nobiltà del Regno, un Cavaliere di Piazza per i nobili cittadini, un Regio Consigliere di S. Chiara o un Presidente della Sommaria per la nobiltà spagnola, un avvocato napoletano a rappresentare il ceto forense, uno dei Primari Negozianti napoletani a rappresentanza della borghesia mercantile, uno dei Negozianti Stranieri in nome degli stranieri. Tutti erano coinvolti in prima persona nella tutela dell’istituzione, per la crescita del bene comune.

I sei governatori, più un protettore delegato, formavano il governo dell’ospedale. Ognuno di loro era incaricato del controllo dell’organizzazione di un settore delle attività del nosocomio. Della parte sanitaria si occupavano i medici e i cerusici, della direzione spirituale la stessa Longo, finché non si ritirò in convento, e poi la duchessa di Termoli Maria Ajerbo.

L’ospedale aveva un suo tesoriere cui si consegnavano le entrate, qualunque fosse la loro provenienza e quantità; egli gestiva, sotto il controllo dei governatori, le finanze della Santa Casa e ogni tre mesi dava conto del suo operato. L’ospedale aveva un proprio guardaroba, una cucina, un forno e un macello; era una piccola città nella città, autosufficiente in ogni sua necessità, cui non mancavano mai fondi poiché era oggetto di cospicui lasciti e donazioni. Lo spazio a disposizione della struttura non bastava e così, nel corso del XVI secolo, più volte furono acquistati case e terreni adiacenti all’ospedale per costruirvi nuovi corpi di fabbrica per ospitare malati, servizi e anche per sistemare meglio le monache che avevano un loro convento all’interno del perimetro dell’ospedale. Nel 1539, anno dei Capitoli vicereali, va situata anche la morte di Maria Longo, poiché un documento nota–spese del 1541, a proposito di lavori fatti nel monastero dove viveva, si parla di lei come la “quondam” signora Longo.

Il 1539 per gli Incurabili fu l’anno dei cambiamenti: scomparsa la fondatrice, la duchessa di Termoli si defilò in un ruolo puramente formale e il vicerè ridisegnò il profilo organizzativo dell’istituzione passando così ad un controllo diretto sulle entrate e sulla gestione, poiché aveva il potere di decidere tre dei sei nomi dei Governatori o di prolungare sine die la carica di quelli già al governo. Come già successo per l’Annunziata, il vicerè, pur lasciando una formale indipendenza alla struttura, in realtà controllava attraverso di essa il movimento e le idee della nobiltà e della borghesia regnicola, particolarmente attiva nel campo della sanità e della previdenza.

Le rendite dell’ospedale derivavano da lasciti testamentari, da rendite immobiliari e dai diritti concessi dal potere regio e papale. Sommando i lasciti ottenuti tra il 1530 e il 1570, per esempio, si arriva alla somma di 32.000 ducati. Da questo calcolo mancano molte voci: i proventi delle elemosine, la dote di 1.000 ducati annui che i Bianchi versarono fino al 1554, le rendite immobiliari e i benefici ecclesiastici.

Tuttavia il 1568 fu un anno di deficit tanto che fu necessario l’intervento e la sovvenzione dell’altro grande ospedale napoletano la Real Casa dell’Annunziata.

Una singolare forma di finanziamento veniva agli Incurabili dal controllo degli introiti derivanti dalle rappresentazioni teatrali. Tutte le sale della città erano sotto il suo controllo; l’ospedale decideva “il cartellone” e riscuoteva da ogni teatro un diritto per ogni biglietto pagato, così da mantenere “molte centinaia di poveri infermi dell’uno e dell’altro sesso, di qualunque sorta di infermità e di molte centinaia di donne pentite”. Tutto questo si poté realizzare grazie ad un decreto di Filippo II.

Dalla metà del XVI secolo la Santa Casa aveva ormai assunto il ruolo di ospedale generale capace di accogliere ogni “sorta di infermità”. Questo fu possibile grazie al fatto che tra le sue mura non si faceva soltanto assistenza, ma scienza e sperimentazione, che sono la garanzia di una cura appropriata e all’avanguardia. Nel 1568 l’ospedale accoglieva “piagati e malati di cancari” dei quali si occupavano otto prattici chirurgici, in aggiunta ai tre chirurghi principali che normalmente seguivano i pazienti, tre dei quali si occupavano degli uomini e uno delle donne. I medici internisti, i phisici, erano in numero di due più un prattico fisico residente nella Santa Casa che assicurava una sorta di guardia continua sulle ventiquattro ore.

Ai malati del non meglio specificato “male in canna” era destinato l’ospedale di S. Maria della Misericordia ad Agnano, che era succursale degli Incurabili, dove si praticava la cura delle “fumarole”, verosimilmente suffumigi o aerosol. Un altro ospedale, intitolato a S. Maria della Misericordia e anch’esso filiale della Santa Casa, fu aperto nel 1569 a Torre del Greco e venne destinato alla cura dei tisici e degli idropici. Questo piccolo nosocomio fu edificato su un fondo messo a disposizione da un Confratello dei Bianchi, per di più vicino ai Teatini, che nella prima parte della loro storia napoletana avevano beneficiato dell’amicizia e dell’ospitalità di Maria Longo. All’ospedale di Torre del Greco si praticava in autunno la cura delle vinacce per patologie non meglio precisate. Nel 1570 entrambe le strutture furono beneficiate da papa Pio V del diritto di usufruire degli stessi diritti della Casa Madre napoletana.

Per il trattamento della sifilide nell’ospedale napoletano si praticava la cura allora ritenuta più all’avanguardia: la somministrazione di decotti di scorza di guaiaco, definito per le sue caratteristiche “legno santo”, cui si aggiungeva un altro decotto di un’altra pianta americana: la salsapariglia. A tal fine erano stati allestiti dei locali appositi di isolamento, poiché durante la cura i pazienti dovevano soggiornare in locali caldi per poter sudare ed espellere gli umori maligni. Da qui la necessità di stufe e bracieri anche in estate e di stanze separate dagli altri spazi dell’ospedale. Durante la cura i malati dovevano seguire una dieta quaresimale. Difficoltà per praticare tale terapia fu trovata nel piccolo ospedale romano di S. Giacomo che dovette ridurre lo spazio per gli altri pazienti ( a Napoli invece l’ospedale si ampliò per poterla praticare senza penalizzare gli altri degenti) e inoltre, visti gli alti costi della materia prima, la cura poté essere praticata solo ad anni alterni. Finì che in una sorta di “viaggio della speranza ante litteram” i pazienti romani, affrontando un viaggio per mare, venissero agli Incurabili per essere curati, cosicché nei periodi di primavera e autunno il nosocomio partenopeo ospitava fino a 1400 malati, che scendevano a “soli” 900 in inverno e estate. Per assicurare un approvvigionamento continuo e costante di farmaci, i più vari e più o meno reperibili o costosi, l’ospedale aveva una propria spezieria per il cui mantenimento si spendevano, nel 1568, 4.000 ducati l’anno. Essa riforniva di medicine, oltre agli interni, anche i pazienti poveri della città che non volevano farsi ricoverare.

Per mantenere una comunità così numerosa e per di più composta per la maggior parte da persone ammalatesi, prima che per ogni altra causa, per scarsa o insufficiente alimentazione, il forno dell’ospedale forniva il “miglior pane della città” così come la macelleria “la miglior carne”, inoltre la dieta per i degenti non scarseggiava di formaggio, olio, pasta e di ogni tipo di carne. Solo in un anno si macellavano circa 11.000 polli e si consumavano 46.000 uova. Gli ammalati venivano nutriti on pane bianco, carne di vitella, polli e uova fresche, il personale doveva, invece, accontentarsi del pane nero e della carne vaccina.

Un’organizzazione simile nello stesso periodo poteva vantarla solo l’altro colosso della sanità-carità napoletana, la real Casa dell’Annunziata, che assisteva abitualmente circa 1.000 pazienti oltre a svolgere per 8.000 esposti la funzione di brefotrofio e per altri 1.500 in età adolescenziale quella di Conservatorio.

Per le “stufe” l’Annunziata aveva una filiale a Pozzuoli e la dieta dei suoi malati faceva concorrenza a quella degli Incurabili.

Quando nel 1574 un incendio devastò l’Annunziata, l’ospedale fondato da Maria Longo mandò in soccorso un’offerta di 2.000 ducati contenuti in quattro bacili d’argento.

Un ospedale che fornisce a tutti, senza chiedere la nazionalità e gratuitamente, le cure più recenti che la nascente scienza empirica metteva a punto, un posto dove l’assistenza si accompagnava alla ricerca e alla sperimentazione era per l’epoca una cosa assolutamente nuova. L’ospedale di Maria Longo forniva, come si è visto , alla cittadinanza una serie di servizi che sopperivano alla mancanza di provvedimenti in materia di educazione e previdenza sociale del governo centrale. E’ il caso del Banco eretto nel 1589 o dei Monti di Maritaggio o del Conservatorio per le fanciulle, ma l’aver avuto tra i propri chirurghi, tra il 1631 e il 1636, uno scienziato come Marco Aurelio Severino è senza dubbio ciò che lo colloca una spanna al di sopra di ogni altra istituzione simile del sud Italia.

Severino, chirurgo “novatore”, fu agli Incurabili tra il 1631 e il 1636, e fu un innovatore nelle tecniche di chirurgia e nel modo di intendere l’anatomia umana. Di ispirazione harveyana attirò su di sé le antipatie di molti, tanto che fu costretto a lasciare Napoli, salvo poi tornarci nel 1642 quando fu scagionato dall’accusa di eresia mossagli perché inattaccabile sul piano professionale e accademico. La piccineria dei suoi nemici aveva fatto le pulci alla sua vita privata accusandolo di non raccomandare agli infermi di confessarsi e di non andare a messa, se non quando vi fosse stato costretto.

Durante la sua assenza da Napoli Severino non si disperò, anzi continuò il suo lavoro insegnando Chirurgia a Padova. Rientrato a Napoli riprese la professione e l’insegnamento all’Università, ma non fece in tempo a far parte della laica e novatrice Accademia degli Investiganti, perché nel 1656, durante la peste, la Deputazione di Sanità gli affidò l’incarico di effettuare autopsie sulle salme dei defunti e morì il 12 luglio dello stesso anno.

Una struttura come gli Incurabili, fondata da una pia donna votatasi poi al Chiostro, si era tenuta ben stretto un ingegno come quello di Severino che aveva dato lustro all’ospedale e che, con le sue opere teoriche, aveva fatto progredire molto la scienza medica. Nel secolo successivo un altro caso di felice connubio tra cura e scienza si ebbe con Domenico Cotugno, grande medico del XVIII secolo che fu ospite e allievo del Collegio Medico istituito presso l’Ospedale dalla metà del 1700, che con quello di Salerno era l’unico abilitato a rilasciare titoli di dottori in medicina con relativa licenza.

Dunque gli Incurabili erano un ospedale dove la carità cristiana, che aveva mosso Maria Longo e Maria Ajerbo portandole ad occuparsi di ammalati e perfino di prostitute, non impediva la pratica e l’evolversi della scienza medica. Un ottimo medico era, ed è tutt’oggi, un ottimo medico vada o no a messa, questa era la valutazione che dovettero fare i governatori della Santa Casa quando lo ebbero alle loro dipendenze.

Tuttavia la società di cui l’Ospedale era espressione era molto complessa, e tra le mura della Santa Casa si vivevano le stesse contraddizioni e gli stessi attriti che caratterizzavano la vita della città e il rapporto tra il popolo, il potere vicereale e quello religioso.

La fondatrice Maria Longo favorì l’arrivo a Napoli e ospitò nell’ospedale, i frati Cappuccini nel 1529-31, prima che questi si insediassero nel convento di S. Efrem, ancora qualche anno dopo fece lo stesso con i Teatini, che restarono dal 1535 al 1538 nel monastero di S. Maria di Gerusalemme, presso l’ospedale, prima di ricevere da don Pedro de Toledo la chiesa di S. Paolo Maggiore.

Quando un paziente veniva ricoverato agli Incurabili veniva prima visitato dal medico che stabiliva la cura, la dieta e il tipo di trattamento che doveva ricevere. Successivamente veniva spogliato, lavato e rivestito con una tunica nuova. I medici facevano il giro visita due volte al giorno e in caso di infermità era d’obbligo un consulto di tutti i phisici o di tutti i chirurghi. Un medico che mancava senza motivo per una volta al giro visite veniva sostituito da un altro collega scelto dal Maestro di Casa, e il costo della consulenza esterna era detratto dallo stipendio di chi si era assentato; una seconda assenza garantiva il licenziamento in tronco. I medici che curavano gli infermi dovevano “dar loro soddisfazione di buone parole, discorrendo della qualità del male senza affrettarsi” cioè spiegare loro cosa avessero, come intendevano trattarli parlando in modo semplice e completo.

Medicazioni e fasciature dovevano essere eseguite dai medici e dai chirurghi ordinari, non dai prattici né dalla gente di casa cui mancava la competenza professionale e l’esperienza nel campo. All’interno l’ospedale era diviso in diverse strutture: quello degli uomini, suddiviso in Ospedale dei Paesani, dei Soldati e dei Matti, il Camerone dei Moribondi e quello per i Malati di morbo gallico. L’Ospedale delle donne aveva reparti divisi per le Gravide, Luetiche, Moribonde, Matte e affette da scabbia e tigna. Nessuno paziente poteva uscire dall’ospedale poiché farlo equivaleva a farsi dimettere.              

Oltre alla principale opera di cura e assistenza e l’attività di ricerca scientifica svolta dai suoi medici, l’ospedale svolgeva, di pari passo con le altre strutture di carità cittadina, opere di beneficenza rivolte ad altri tipi di bisognosi o disgraziati: forniva doti di maritaggio e aveva un banco pubblico per aiutare i poveri. Il Banco di S. Maria del Popolo, costituito nel 1589, fu dapprima ospitato in alcuni locali siti sotto lo scalone imperiale che si trova nel cortile principale dell’ospedale, poi dal 1597 fu spostato in un altro palazzo di proprietà dell’ospedale, sito all’inizio di via S. Gregorio Armeno di fronte alla chiesa di S. Paolo e di S. Lorenzo Maggiore. Soccorreva inoltre persone in carcere per piccoli debiti “onesti”, era quindi una delle istituzioni più importanti per la popolazione non nobile.

Sicuramente il ruolo svolto dagli Incurabili nel campo dell’assistenza e della sanità, assieme alla Real Casa dell’Annunziata, in modo continuo e costante nel corso dei due secoli presi in esame, rendono questa struttura un esempio mirabile di come in esso si siano fuse e, talvolta, scontrate tutte le forze che agivano allora sullo scenario politico e sociale, dando vita però a un insieme armonico costituito dal più felice connubio di religiosità e misticismo riformato-barocco, evoluzione della scienza empirica applicata alla medicina e spinta verso la concessione di incarichi di governo e responsabilità del nascente ceto civile e borghese cittadino.

 

 

 

 

 

Collegio Medico Cerusico

IL COLLEGIO MEDICO CERUSICO Non molti sono a conoscenza che nell'ambito della struttura dell'Ospedale degli Incurabili diNapoli, nei primi anni del 1800 sorse una Scuola di Medicina di altissimo livello, il Collegio Medico Cerusico. La scuola nacque durante il Regno Murat; i Sovrani di casa Borbone ebbero l'intelligenza, una volta tornati al potere, di non "cancellare" questa struttura nella fase della restaurazione, ma, al contrario, cercarono di potenziarla e di rilanciarla. Dopo l'Unità d'Italia, analogo atteggiamento non fu tenuto dal governo unitario ed il Collegio fu chiuso nel 1871. Ci parla del Collegio Medico Cerusico Massimo Cimmino; da notare che il trisnonno di Massimo, Angelo Martorella, lavorò in quella struttura come "portinaio", mentre il bisnonno, Giuseppe Cimmino, vi lavorò come "cameriere". Napoli celebrerà tra pochi anni il mezzo millennio dell'Ospedale degli Incurabili, una delle più antiche strutture sanitarie d'Europa tuttora in attività. Voluto dalla nobildonna catalana Maria Lonc, su consiglio del suo padre spirituale, il futuro S.Gaetano Thiene, l'Ospedale ottenne il riconoscimento con bolla pontificia del 1519 e venne dedicato, con l'annessa Chiesa, a S.Maria del Popolo degli Incurabili. Al nome della fondatrice, nella forma napoletanizzata di Maria Longo, è intitolata la strada che dalla via Foria conduce appunto all'antico Ospedale . "Incurabili" erano tutti coloro che non fossero in grado di sostenere il costo delle pur necessarie cure mediche. A questi, napolitani e stranieri, provvide per secoli l'Ospedale sorto sulla collina di Caponapoli, e ciò grazie a numerose e cospicue donazioni di privati . E' noto che esso costituì anche un centro sanitario di rilevanza internazionale, per la particolare levatura dei suoi medici e chirurghi, ovunque rinomati. Ma pochi sanno che nel secolo XIX operò nel nosocomio napolitano una vera e propria Scuola, il Collegio Medico Cerusico. Ci informa in proposito il Celano: “…fondato il dì 14 maggio 1810 nell’Ospedale degli Incurabili per aver buoni medici chirurgi e farmacisti”, veniva poi “…tramutato (sta per 'trasferito', n.d.r.) in quella parte dell’antico monastero di S.Gaudioso che guarda S.Andrea delle Monache colla porta d’ingresso all’imboccatura del vico del Settimo Cielo. Gli alunni vi imparano la struttura del corpo umano, i segni e i caratteri delle piante e delle droghe usuali e la chimica medicinale. Praticano inoltre le operazioni anatomiche, chirurgiche e chimiche, ed assistono alle cliniche del cennato ospedale.”. Si trattava, dunque, di un’istituzione sorta nel periodo murattiano e conservata, dopo la Restaurazione, dai Sovrani di Casa Borbone, con un’avvedutezza ed una lungimiranza che, come vedremo, non saranno parimenti dimostrate dai Savoia dopo la forzata annessione del Nostro Antico Regno . Da segnalare che, conformemente allo spirito solidaristico che da sempre informava l'attività dell'Ospedale, una parte dei posti disponibili nel Collegio (cosiddette "piazze franche") era gratuitamente riservata agli alunni meritevoli provenienti da tutte le provincie del Regno, cui veniva in tal modo consentito di potersi laureare a prescindere dal ceto sociale di appartenenza. Va anche ricordato – per dovere di ricostruzione storica di quel periodo - che, nel mese di agosto del 1821, i locali che ospitavano il Collegio Medico Cerusico furono di autorità provvisoriamente destinati ad uso di “Ospedale dell’Armata Imperiale Austriaca”, che le potenze aderenti alla Santa Alleanza avevano inviato a sedare i disordini fomentati dai cosiddetti moti carbonari. Il Collegio, già in precedenza “disciolto” durante la crisi politica determinatasi in quell’anno, venne ripristinato nel mese di novembre successivo, ma, non essendo stati ad esso restituiti i locali ubicati nel monastero di S.Gaudioso, esso riprese a funzionare in condizioni precarie: agli alunni fu assegnata per dormitorio una cosiddetta “Corsea” nell’Ospedale degli Incurabili ed il Rettore dovette adattarsi a dirigere le attività del Collegio dalla propria abitazione privata. Tale stato di cose durò fino al mese di gennaio dell’anno 1825, allorchè il Collegio potette ristabilirsi nel monastero di S.Gaudioso. Posteriormente al 1825 fu realizzato il passaggio tra il Collegio e l’Ospedale degli Incurabili, istituendosi all'uopo un apposito "portinajo", diverso da quello addetto al portone d'ingresso dal vico Settimo Cielo. A tal riguardo, va detto che Il Collegio usava impiegare come portinai soldati appartenenti al Reggimento dei Veterani, sia per la fiducia che riponeva in essi, sia per il rispetto che gli stessi incutevano agli alunni ed ai visitatori . Nel 1871, dopo sessantuno anni di prestigiosa attività, il Collegio Medico Cerusico fu soppresso dal governo italiano senza alcuna valida motivazione. Ne conseguì, tra l'altro, la perdita del posto di lavoro per i docenti, gli impiegati amministrativi, nonchè tutti i componenti della cosiddetta "famiglia bassa" (camerieri, cuochi, inservienti, portinai, ecc.) . Per eventuali approfondimenti, si segnala che tutta la documentazione riguardante il Collegio Medico Cerusico è riunita in un apposito "fondo", consultabile presso l'Archivio di Stato di Napoli. Massimo Cimmino Parzialmente tratto da "Storia della Famiglia Cimmino", opera dello stesso autore, in corso di pubblicazione

ringrazio il sig. Ettore Coppola  responsabile amministrativo  per aveemi autorizzato a prelevare dal sito( fonte)  dove provengono queste notizie:http://www.quicampania.it/     http://www.quicampania.it/tesori/collegio-medico-cerusico.html

Ospedale degli Incurabili

testimonianza vivente di una storia capace di rinnovarsi

 

La storia

Nella storia dell’Ospedale degli Incurabili sono racchiusi cinquecento anni di vita napoletana. Una storia istituzionale alta, che testimonia dell’impegno civile e religioso dei napoletani, della loro cultura scientifica e artistica, del loro lavoro.

L’Ospedale fu fondato da Maria Longo, per la quale è oggi in corso il processo di beatificazione, in quel periodo di straordinario fermento religioso che caratterizzò Napoli tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, quando nella città confluirono molti protagonisti della vita religiosa dell’epoca: da Gaetano Thiene a Bernardo Ochino, da Juan Valdes a Giampietro Carafa (futuro Paolo IV), da Ettore da Vernazza a Giacomo della Marca, a Girolamo Seripando.

Furono inoltre anni in cui la vita della Capitale fu caratterizzata da una forte presenza femminile: da Maria Longo a Vittoria Colonna, da Giulia Gonzaga a Maria Carafa, a Maria d’Ajerbo.

In quegli anni la pietà religiosa napoletana si caratterizzò per la sua capacità di dare risposte alle esigenze dei tempi, guidando direttamente la creazione di istituzioni civili fondamentali per la vita economica e sociale del mezzogiorno, tra le quali l’Ospedale degli Incurabili.  

Fu una risposta non solo all’insorgere di nuove malattie che apparivano incurabili, ma soprattutto ai bisogni di coloro che per condizioni sociali erano incurabili. Fu una svolta nella storia della medicina e della povertà. Le strutture di assistenza per i poveri furono separate dalle strutture di cura per i malati.

Gli Incurabili divennero il primo Ospedale del Regno, sede della formazione dei medici e dei farmacisti. La storia della medicina napoletana ebbe qui una delle sue sedi fondamentali e qui lavorarono nei secoli i suoi principali protagonisti, da Marco Aurelio Severino a Tommaso Cornelio, da Domenico Cotugno a Michele Troja .

La struttura ospedaliera nel corso dei secoli è stata arricchita di molte opere d’arte, alla cui realizzazione hanno contribuito tanti artisti: da Cosimo Fanzago a Giovanni da Nola, da Francesco Solimena a Francesco De Mura. La Farmacia, con i suoi vasi e il pavimento maiolicato, con le sue opere di ebanisteria e intagli è non solo uno splendido esempio del rococò napoletano, ma è ormai la più significativa   testimonianza di farmacia settecentesca in Italia.  

Queste opere parlano qui un linguaggio che non

 

parlerebbero in un museo, perché esse esprimono in forma artistica la storia dell’Ospedale e della medicina (basta fare riferimento alle allegorie femminili e, tra queste, a quella del parto cesareo).

Se l'ispirazione religiosa ha caratterizzato tanti momenti della vita dell’ospedale, dalla sua nascita alla direzione di Giuseppe Moscati nel Novecento, non meno significativi furono gli eventi civili che qui si sono svolti, dal rinnovamento della cultura medica nel Settecento, allo scontro tra gli studenti di medicina del collegio medico-cerusico e le truppe Sanfediste del cardinale Ruffo guidate da Frà Diavolo.

Le pietre degli Incurabili dunque ci parlano di una storia dei napoletani ben lontana dagli stereotipi che attanagliano l’immagine della nostra città. Purtroppo questa storia ormai, non tanto per il passare del tempo, ma per l’azione degli uomini, è poco conosciuta. Da decenni un lento processo di oscuramento sta trasportando queste vicende nelle brume del passato. Hanno pesato molto e pesano ancora le divisioni, i corporativismi, gli interessi speculativi.

Il territorio dell’Ospedale è stato infatti anche sede di uno scontro che dura da un secolo sull’assetto urbanistico di questa area del centro storico e dell’ evoluzione del rapporto tra ospedali e facoltà di medicina.

E’ necessario che tutto ciò riemerga, non solo per il suo intrinseco valore storico e artistico, ma anche come memoria di uomini e donne che nel passato hanno saputo fare scelte che hanno dato un futuro a Napoli. Ciò appare particolarmente importante in una fase in cui si stanno facendo scelte importanti per la nostra città.   E tale storia va fatta riemergere e vivere nella Napoli di oggi nella sua globalità e non come frammento artistico da musealizzare.

L’attualità e la proposta

Alla luce delle considerazioni svolte, il problema che oggi si pone non è solo quello del reperimento delle risorse finanziarie necessarie ad evitare il degrado e la distruzione del patrimonio artistico ed edilizio del complesso, tra l’altro alcune risorse finanziarie sono già state individuate all’interno di un progetto di intervento su importanti ospedali storici della città, ma di compiere scelte che rivitalizzino questa istituzione, facendone emergere le sue potenzialità di attrattore culturale, che può interagire in maniera significativa con il territorio.

Il problema, cioè, è quello di mantenere ad una istituzione ricca di un patrimonio ineguagliabile, non solo la sua attuale vitalità, ma potenziarla, attraverso lo sviluppo, l’insediamento e la concentrazione al suo interno di attività oggi disperse in tanti luoghi poco significativi e incapaci di funzionare da attrattori.

Le funzioni alle quali ci riferiamo sono:

Storia della pietà religiosa

            Storia della medicina

            Storia dell’arte

- Per la storia dell’arte si tratta di valorizzare le strutture esistenti: Farmacia, chiese, quadreria;

- per la storia della medicina si tratta di aggregare attorno alla Farmacia e all’orto medicale le strutture museali della Facoltà di medicina della II Università di Napoli, gli archivi storici di alcuni antichi ospedali napoletani e di costruire un centro di divulgazione storico- scientifico sulla medicina;

- per la storia della pietà religiosa si tratta di costruire un centro di documentazione e di ricerca sulla pietà religiosa tra Quattrocento e Cinquecento”.

In sintesi si tratta di avviare una struttura dove non solo i luoghi parlano di storia, ma anche le attività di didattica, di ricerca e di divulgazione che in questi luoghi si svolgono e ancor più si possono sviluppare.

Quello che si propone, in sintesi, è un intervento che non sia di pura e quindi effimera conservazione - imbalsamazione dell’esistente, ma finalizzato alla sua rivitalizzazione, in termini moderni, affinché a cinquecento anni di distanza questa straordinaria istituzione possa nuovamente essere punto di attrazione e di riferimento per attività di studio e di ricerca in molteplici campi (religione – arte – medicina ), testimonianza vivente di una storia capace di rinnovarsi.

Va sottolineato che tra tutti gli ospedali storici napoletani solo gli Incurabili si prestano a questo tipo di intervento, non meramente conservativo-museale.

 

 

 

   Per realizzare questo obiettivo, che coinvolge una pluralità di soggetti, si può ipotizzare la creazione di una Fondazione che li impegni tutti: Regione, Comune, ASL, le due Università napoletane con le due facoltà di medicina, le organizzazioni religiose.

Una Fondazione che provveda alla definizione del progetto stesso e alla gestione del complesso delle attività richiamate.

Va infine sottolineato che la rivitalizzazione degli Incurabili, attraverso lo sviluppo di funzioni e attività in grado di richiamare sulla città e sull’area visitatori, religiosi e studiosi da tutto il mondo, rappresenta una opportunità non solo per il rilancio dell’ Ospedale in quanto tale, ma va ad arricchire in maniera estremamente qualificata e significativa un territorio già molto ricco di istituzioni museali, artistiche, monumentali e culturali, in un’ottica che è quella di interventi non puntiformi, ma finalizzati alla creazione di circuiti capaci di favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale della città nel suo complesso. Il percorso che noi proponiamo per gli Incurabili è da tempo in corso in altre città italiane che, però, hanno un patrimonio storico e artistico in campo medico molto più modesto di quello napoletano.

 

Ass. Incurabili San Giuseppe Moscati, Ass. il Faro di Ippocrate, Comitato amici di Maria Lorenza Longo, Centroforia

 

 

Ospedale Incurabili porta principale