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Religiosi di II° grado

S. Pompilio Pirotti 1710/ 1766

V. Francesco Saverio M. Bianchi 1743/ 1815

S. Ludovico Da Casoria 1814/1885

V. Francesco da Lagonegro 1717/ 1804

V. Don Placido Bacxcher 1781/ 1851

 

 

S.Pompilo Pirozzi

San Pompilio Maria Pirrotti Padre Scolopio

15 luglio

Montecalvo Irpino (AV), 29 settembre 1710 - Campi Salentina, (Lecce), 15 luglio 1766

Nato a Montecalvo, in Campania, il 29 settembre 1710, Domenico Pirotti - figlio di un noto avvocato beneventano - mutò nome in Pompilio Maria, entrando, diciottenne, nell'ordine degli Scolopi. Da Napoli fu inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all'insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù. Secondo il carisma dei figli di san Giuseppe Calasanzio esercitò l'apostolato nelle Scuole Pie in diverse Regioni d'Italia. La sua attività educativa verso il popolo dava fastidio, perciò venne calunniato ed espulso dal Regno di Napoli. Ritornò comunque in città, dove era amatissimo soprattutto dai bisognosi. Instancabile predicatore e uomo di carità, nutriva una fervente devozione mariana. Morì nel 1766 ed è santo dal 1934. (Avvenire)

Etimologia: Pompilio (come Pompeo e Pomponio) = (forse) quinto figlio, dal latino antico, o 

Martirologio Romano: A Campi Salentina in Puglia, san Pompilio Maria Pirrotti, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, insigne per austerità di vita. 

Uno dei più grandi figli di s. Giuseppe Calasanzio (1558-1648), fondatore dei padri Scolopi nel 1617, che sono i membri della Congregazione della Madre di Dio delle Scuole Pie, da cui prendono il nome, dediti all’educazione dei fanciulli poveri. 
Domenico Pirrotti, questo il suo nome di battesimo, nacque a Montecalvo Irpino (AV) il 29 settembre 1710, sesto degli undici figli di Girolamo Pirrotti e di donna Orsola Bozzuti; il padre era dottore in legge e la condizione della famiglia era di ceto nobile; ancora oggi sul portone d’ingresso dell’antico palazzo nobiliare, accanto allo scudo di famiglia, si legge: “Virtus et honor in domo Pirrotti semper”. 
Giunto ai 16 anni Domenico, vincendo le resistenze dei genitori, che cullavano per lui sogni di carriera sociale, e dopo tante lagrime e preghiere rivolte al Signore, per essere illuminato nella sua scelta e dopo essersi consigliato con il suo confessore, fuggì dalla casa paterna e andò a Benevento, dal superiore del Collegio degli Scolopi di quella città, per essere ammesso in prova per divenire loro religioso. 
Al padre scrisse poi una commovente lettera per spiegargli la sua risoluzione, attuata solo per adempiere alla chiamata di Dio, che sentiva in sé e quindi gli chiedeva di perdonarlo e impartirgli la sua benedizione. 
Il 2 febbraio 1727 vestì l’abito religioso degli Scolopi, nel Noviziato di S. Maria di Caravaggio in Napoli e alla fine del primo anno di noviziato, ottenuta la dispensa del secondo anno di prova, il 25 marzo 1728 fece la professione solenne con i voti di povertà, castità, obbedienza e quello di istruire la gioventù secondo la Regola dell’Ordine, nel contempo cambiò il nome in Pompilio Maria. 
Da Napoli fu poi inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all’insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù. 
Da lì l’anno successivo sempre come insegnante di lettere, lo troviamo a Francavilla Fontana (Lecce); il 20 marzo 1734 venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Brindisi, Andrea Maddalena, dopo di ciò avvertì il bisogno di allargare il proprio cuore e il campo del suo apostolato e con l’esplicito permesso dei Superiori prese a predicare e confessare in molte regioni d’Italia. 
Dal 1736 e per tre anni fu a Brindisi, da lì nel 1739 passò ad Ortona a Mare e nel 1742 a Lanciano in Abruzzo, tutte zone che furono campo particolare e fecondo del suo lavoro che vide unire l’attività scolastica a quella dell’apostolato, catechizzando le popolazioni dei dintorni, a predicare Quaresime ed esercizi spirituali a studenti e religiosi, fu tale ed abbondante il suo lavoro da meritarsi il titolo di ‘Apostolo degli Abruzzi’. 
Per ottenere la conversione dei peccatori e grazie da Dio, si rivolgeva con fervide preghiere alla Madonna, il cui nome di Maria o di “Mamma bella” era la giaculatoria che amava di più, la ripeteva spesso esortando anche gli altri a farlo. 
Il Signore gli diede doni straordinari, che avvalorarono la sua opera sacerdotale, nel 1746 quando si trovava a Lanciano, fece suonare a distesa le campane alle due di notte e alla gente accorsa allarmata, disse di mettersi a pregare con fervore la Madonna, per aver salva la vita da un terremoto imminente, infatti Lanciano fu risparmiata dal sisma, mentre altre località abruzzesi, subirono ingenti danni. 
Anche nella terribile carestia del 1765, il suo intervento fu determinante per la cittadina di Campi Salentina, dove risiedeva, che riuscì a superarla senza danni, ancora oggi in questa città, ogni anno nel giorno della sua festa, vengono distribuiti cesti di pane benedetto, in ricordo della sua protezione. 
I tempi in cui visse ed operò padre Pompilio Maria Pirrotti, erano duri per la vita e la pietà cristiana; filosofie e politiche, favorivano l’affermarsi di un regalismo esoso e anticlericale, mentre le fredde idee giansenistiche allontanavano i fedeli dai sacramenti, in particolare dall’Eucaristia, ironizzando sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù e della Madonna; che invece per padre Pompilio costituivano fin dalla fanciullezza, il fulcro della sua vita e ora della sua infiammata predicazione e della sua saggia direzione spirituale. 
Da ciò scaturirono, denunce ed accuse e il suo brusco allontanamento da Lanciano nel 1747, iniziando così quel lungo periodo di sofferenze morali, che durò fino alla sua morte. 
Trascorse così undici anni e mezzo a Napoli nella Casa di S. Maria di Caravaggio, dedicandosi nell’attigua ed omonima chiesa, nella centrale Piazza Dante, al culto divino, alle confessioni, alla predicazione, all’assistenza degli ammalati e bisognosi nel popoloso rione allora denominato di fuori Porta Reale. Fondò e diresse spiritualmente una Compagnia chiamata della “Carità di Dio” che aveva come fine, la pratica assidua dei Sacramenti, delle virtù cristiane e nel suffragare le anime dei defunti. 
Sostenne e difese la pratica della Comunione frequente e quotidiana, che allora era privilegio di pochi e molto regolamentata. L’altra sua grande devozione, fu quella al Sacro Cuore di Gesù, che pur essendo antichissima nella Chiesa, solo nel XVIII secolo, ebbe un forte impulso e fra i promotori vi fu maggiormente attivo padre Pompilio, autore fra l’altro della celebre “Novena al S. Cuore di Gesù”, che scrisse nel 1765 e che fu diffusa rapidamente in tutto il Regno di Napoli. 
Ma questa grande spiritualità, la stima dei Superiori, la venerazione del popolo, che lo considerava un santo, non gli risparmiarono l’accusa da parte di un’associazione di preti, detta dei “Cappelloni” a causa del caratteristico copricapo dalla falde all’insù, di essere troppo indulgente nell’assolvere i penitenti ed eccessivamente mite nell’imporre la penitenza; inoltre di essere un uomo turbolento, inquieto, caparbio. 
Queste accuse provocarono la sospensione del confessare e predicare, da parte dell’arcivescovo di Napoli, il card. Sersale, il quale prestò fede alle accuse, senza rifletterci tanto. Anche il re Carlo III, attraverso i suoi tribunali, ne decretò l’espulsione dal Regno di Napoli. Per sei anni il padre scolopio emigrò da una casa all’altra dell’Ordine, da Chieti ad Ancona (tre volte), a Lugo di Romagna, Manfredonia, prima di rimettere piede nel Regno, ma posto come a domicilio coatto e controllato con verbali periodici sulla sua condotta. 
Il comportamento di padre Pompilio, in questo susseguirsi convulso di vicende è quello di un santo, non una parola di lamento o di recriminazione, contro i provocatori di tanto sconquasso nella sua fervorosa vita; non esce dalla sua bocca o dalla sua penna, che la dichiarazione di fare la volontà di Dio e di ottenere la grazia di soffrire con gioia; a ciò si aggiungono atroci sofferenze fisiche per malattie sorte da tempo e che avanzano inesorabili.. 
Si giunge al colmo della sofferenza, quando viene nuovamente denunciato al S. Uffizio e di nuovo sospeso dalle sue funzioni sacerdotali. Nella sua Montecalvo Irpino, fondò in questo peregrinare, una Congregazione di pie persone detta del “Sacro Cuore”. Nel 1765 il 15 aprile inizia il lungo viaggio che da Ancona lo porterà all’estremità della Penisola italiana, a Campi Salentina (Lecce) dove giungerà il 12 luglio, dopo aver attraversato tanti paesi che lo avevano visto apostolo infaticabile ed esule innocente, passa anche a salutare i fedeli di Montecalvo a cui lascia un “Addio in Paradiso!”. 
Nell’anno che passò a Campi Salentina, dove nel 1631 s. Giuseppe Calasanzio il fondatore, aveva aperta una scuola per i fanciulli poveri, rinnovò le strutture del Collegio, rianimò la Comunità scossa da alcuni disordini, riorganizzò le scuole vigilando sul loro migliore funzionamento, operò prodigi nella carestia prima citata, intensificò la vita religiosa degli abitanti, che riconobbero nella sua opera, lo stesso spirito che oltre un secolo prima aveva fatto richiedere nel loro paese, la presenza dei Padri Scolopi. 
Non è inutile ricordare che l’istruzione era riservata ai ‘giovani signori’, e che nella loro aristocratica famiglia esisteva un ‘precettore’ per tale scopo; mentre ai figli del popolo, pensavano solo i Santi o perlomeno i religiosi degli Ordini sorti per questo scopo. 
Dopo aver celebrato la Messa della domenica 13 luglio 1766, si mise nel confessionale come al solito e qui accusò un malessere, per cui fu trasportato nella sua cameretta, morì il 15 luglio a 56 anni, mentre si annunciavano i primi Vespri della Madonna del Carmine, adagiato poveramente su una cassa. 
Nel 1835 si aprì a Lecce il processo ordinario sulle virtù di padre Pompilio Maria Pirrotti; fu beatificato da papa Leone XIII il 26 gennaio 1890, mentre venne proclamato santo da papa Pio XI il 19 marzo 1934, insieme a s. Giuseppe Benedetto Cottolengo. 
La sua salma è custodita e venerata da tanti fedeli nella chiesa santuario dei Padri Scolopi in Campi Salentina; la sua festa liturgica è al 15 luglio.


Autore: 
Antonio Borrelli

 

________S.Pompilio Pirotti_______________

 

S. Francesco Saverio Bianchi

S. FRANCESCO SAVERIO BIANCHI (1743-1815)

Il P. Bianchi per 12 anni s'impose un severo tenore di vita da cui mai si discostò se non per le confessioni, le visite ai malati nelle case e negli ospedali, i soccorsi ai poveri e alle fanciulle raccolte nei conservatori. Una volta ebbe necessità di andare a confessare le religiose del conservatorio di Santa Maria Maddalena di Barra mentre pioveva a dirotto. Un suo benefattore avrebbe preferito condurvelo con un tempo migliore, ma il Santo, esortandolo ad avere fiducia, insistette. Durante il viaggio tanto il postiglione quanto i cavalli non furono bagnati da una sola goccia d'acqua.

Questo apostolo di Napoli nacque ad Arpino (Frosinone) il 2-12-1743, figlio maggiore di un fabbricante di tele. La sua genitrice meritò il titolo di "madre dei poveri" perché, in casa, teneva sempre pronti sedici letti per i malati più bisognosi. Alla scuola di lei Francesco crebbe mansueto e pio. Invece di andare a trastullarsi con i compagni, egli preferiva recarsi in chiesa a servire la Messa, innalzare in casa altarini, cingersi i fianchi con le cordicelle e battersi la schiena con le funi che comprava con i soldi che la mamma di quando in quando gli regalava.
A nove anni i genitori posero il figlio nel collegio che i Barnabiti avevano aperto ad Arpino, ma appena si accorsero che propendeva ad abbracciare la vita religiosa, lo mandarono a studiare nel seminario di Noia. In un corso di esercizi spirituali predicati da Sant'Alfonso de Liguori, Francesco si sentì confermare nel proposito di lasciare il mondo, ma la madre, per distoglierlo da quell'ispirazione, lo mandò a studiare diritto a Napoli (1761) da dove il figlio ritornò l'anno successivo più che mai convinto che il Signore lo voleva religioso. I genitori, in seguito ai buoni suggerimenti dei Barnabiti, gli permisero di entrare (1762) nel loro noviziato di Zagarolo (Roma). Il Bianchi in quel tempo fu tormentato da molte e gravi tentazioni e afflizioni di spirito di cui con la grazia di Dio trionfò.
Dopo la professione religiosa il Santo fu mandato a perfezionarsi nella filosofia a Macerata, a studiare teologia a Roma, e a prepararsi agli ordini sacri, nella fedelissima osservanza di tutte le regole, nel collegio di San Carlo alle Mortelle a Napoli (1766). Furono tanto rapidi i progressi da lui fatti e nello studio e nella pietà, che meritò di essere ordinato sacerdote a soli 23 anni. I primi 2 anni di ministero apostolico li passò ad Arpino, intento a insegnare retorica e a bandire la parola di Dio. Poi i superiori lo rimandarono a Napoli (1769) perché insegnasse filosofia ai chierici barnabiti.
Le condizioni economiche e morali del collegio erano tristi. Esigendo un pronto ed efficace rimedio, il capitolo generale elesse il Bianchi (1773) a preposito di quella casa. Sotto il suo governo scomparvero gli abusi, fu abbellita la chiesa, arricchita la biblioteca, restaurato il collegio. Tre anni dopo fu riconfermato nell'ufficio. In quel tempo, in seguito alle insistenze di Don Anselmo Toppi, abate di Montevergine (Avellino), Francesco contrasse amicizia con la stigmatizzata Terziaria Francescana S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe che, manifestandogli gli straordinari carismi ricevuti da Dio, lo stimolò a salire più speditamente il monte della perfezione. I superiori furono tanto soddisfatti del modo con cui governava il collegio che nel capitolo generale, radunato a Milano (1779), per la terza volta consecutiva lo elessero superiore. Il nuovo preposito generale lo volle compagno nelle visite delle case dell'Ordine, tant'era grande la stima che nutriva di lui.
Una notte, smarrita la via, i viaggiatori caddero in un fosso profondo. Mentre pensavano alla maniera di uscirne, apparve sulla strada un giovane cavaliere, fornito di fiaccola e di funi, il quale in un attimo rialzò la vettura rovesciata e condusse i cavalli al più vicino ospizio. I viaggiatori cercarono il giovane per ringraziarlo, ma egli era già scomparso. Dopo otto mesi il P. Bianchi ritornò a Napoli, parlò di quella vicenda a Suor M. Francesca ed ella lo rassicurò che si trattava dell'arcangelo Raffaele. Un padre Alcantarino andava a celebrare la messa nell'oratorio privato di lei e a comunicarla. Quando costui era trattenuto a letto da infermità, la Santa prendeva misteriosamente parte al sacrificio eucaristico del P. Bianchi o facendo diminuire le specie del vino consacrato, o facendo sparire il frammento dell'ostia immerso nel calice oppure la piccola ostia posta accanto a quella grande per comunicare qualche persona presente alla messa. Le prime volte il P. Bianchi ne rimase profondamente sconcertato, ma quando narrò lo strano fenomeno alla sua confidente, sentì rispondersi: "Tutto l'avrei bevuto il vino consacrato se l'arcangelo Raffaele non me lo avesse sconsigliato, dovendo compiersi il sacrificio". Suor M. Francesca assicurò il Santo che, giunta in Paradiso, gli avrebbe ottenuto dal Signore qualunque grazia spirituale avesse chiesto e che, tre giorni prima della morte, gliene avrebbe dato avviso. Toccandogli alfine le ginocchia, esclamò; "Oh quanto avranno a soffrire queste gambe!".
Lo svariato sapere del P. Bianchi e la conoscenza che aveva delle lingue, lo resero noto ai cultori delle lettere e delle scienze. Nonostante bramasse immergersi soltanto nella contemplazione, nel 1778, sempre preoccupato di morire a se stesso e di attendere al compimento del divino volere, accettò la nomina a professore straordinario di teologia all'Università di Napoli; a membro dell'Accademia ecclesiastica fondata dal cardinale Spinelli; a socio dell'Accademia di scienze e di lettere. Nel 1782 si sobbarcò per la quarta volta al peso della triennale propositura del Collegio. Il gravoso compito non gli impedì di continuare a predicare al popolo, alle confraternite e alle famiglie religiose. Nel capitolo generale del 1785 chiese e ottenne di essere finalmente esonerato da qualsiasi carica. Suor M. Francesca gli confermò essere giunta per lui l'ora di darsi alla tanto desiderata vita contemplativa.
Il P. Bianchi per 12 anni s'impose un severo tenore di vita da cui mai si discostò se non per le confessioni, le visite ai malati nelle case e negli ospedali, i soccorsi ai poveri e alle fanciulle raccolte nei conservatori. Una volta ebbe necessità di andare a confessare le religiose del conservatorio di Santa Maria Maddalena di Barra mentre pioveva a dirotto. Un suo benefattore avrebbe preferito condurvelo con un tempo migliore, ma il Santo, esortandolo ad avere fiducia, insistette. Durante il viaggio tanto il postiglione quanto i cavalli non furono bagnati da una sola goccia d'acqua.
Nel 1791 Suor M. Francesca s'ammalò a morte. Il P. Bianchi andò a confortarla nella sua agonia. Prima di allontanarsi la Santa lo pregò di accettare un anello di vile materia recante inciso lo stemma di San Francesco d'Assisi perché, al ricordo, si sentisse rianimato a maggior perfezione. Assistette in morte anche il sacerdote Tommaso Fiore che gli affidò la direzione di numerosi suoi penitenti, sconcertati dai rivolgimenti cagionati dalla proclamazione della repubblica partenopea da parte dei francesi (1799).
Gesù sacramentato esercitava un'attrazione fortissima sul cuore del Bianchi. Un giorno, mentre l'adorava solennemente esposto nella chiesa dei Teatini, sentì dirsi: "Io sono il tuo Dio". Un'altra volta, mentre pregava nella solitaria chiesa del Divino Amore, improvvisamente si sentì trapassare il cuore da acutissima ferita. Aveva desiderato tanto di sentire impresso in sé il ricordo della Passione del Signore ed era stato esaudito. Dopo d'allora fu visto frequentemente piangere, tremare in tutto il corpo, dibattersi nelle membra, stramazzare a terra svenuto mentre celebrava la Messa; visitava il Ss. Sacramento, riceveva la benedizione eucaristica, impartiva l'assoluzione ai penitenti o sentiva nominare Gesù, Maria, presepio, croce, ecc. Per l'ardore della carità i suoi figli spirituali lo videro talora raggiare in volto, o sollevarsi per aria sulla sedia, o prendere parte alla processione del Ss. Sacramento senza toccare terra. Il Bianchi possedeva in grado eminente il dono del consiglio, della scrutazione dei cuori, motivo per cui tante persone di tutti i ceti sociali accorrevano al suo confessionale per avere pace di coscienza e forza per superare le tentazioni della carne. Al suo consiglio fecero ricorso persino  S. Alfonso de Liguori, il B. Vincenzo Romano, parroco di Torre del Greco, Carlo Emanuele IV e la sua consorte, la Ven. Maria Clotilde di Borbone, esuli in varie città d'Italia dopo l'annessione del Piemonte alla Francia (1798).
Nel 1804 si avverò la profezia che S. Maria Francesca aveva fatto al Bianchi. A poco a poco le gambe gli s'indurirono, si gonfiarono e si copersero di piaghe da cui però emanava un pus odorifero e un umore scottante. I medici non riuscirono a diagnosticare la natura del misterioso male. A chi domandava al paziente cosa sentisse nelle gambe, rispondeva: "Spine e fuoco". Quando i dolori erano più lancinanti, egli ripeteva più volte; "Accrescete, o Signore, le grazie e accrescete i patimenti".
Nel 1809 Gioacchino Murat, succeduto a Giuseppe Bonaparte nel regno di Napoli, soppresse gli Ordini religiosi (1809), com'era stato predetto dalla confidente del Bianchi. Questi esortò i suoi confratelli a conformarsi alla volontà di Dio e li assicurò più volte che il loro Ordine sarebbe stato ristabilito. Il parroco di Santa Maria in Cosmodin, mosso a compassione del pietoso stato fisico di lui, col pretesto di averne bisogno per le confessioni, chiese e ottenne che continuasse a rimanere nel proprio appartamento, assistito da un confratello. Persone devote gli fornirono cibo e vestiti a titolo di carità Finché visse. Poté cosi destinare ai poveri la tenue pensione che il governo gli erogava mensilmente. Passò gli anni della sua infermità intento a meditare la S. Scrittura, a scrivere lettere di direzione spirituale, a confessare quanti andavano da lui a ogni ora del giorno. Il Signore lo arricchì del dono della profezia. Previde difatti in spirito, con precisione, le eruzioni del Vesuvio, e l'inizio dell'umiliazione della Francia da parte della Spagna ribelle al governo di Giuseppe Bonaparte, vide lo sterminio operato dall'arcangelo S. Michele dell'armata francese entrata in Mosca (1812); l'arresto, l'esilio e il ritorno trionfale a Roma (1814) del papa Pio VII, dopo la caduta di Napoleone I.
Nel 1813 i mali del Bianchi s'inasprirono di più. Egli non rifiutò gli ultimi sacramenti benché non fosse ancora giunta la sua ora. Riprese difatti a celebrare la Messa nell'oratorio privato con i soliti veementi battiti del cuore e fremiti. Fu udito esclamare sovente: "Chi veramente ama, canta e delira e sospira e geme e patisce e langue. Oh la bella occupazione! Gesù ce la conceda. Amen". Nel pio esercizio della Via Crucis impiegava non meno di due ore. Negli ultimi 10 mesi di vita il suo corpo divenne tutto una piaga. Il letto si era trasformato per lui in un tormentoso eculeo, che non lo lasciava dormire. Invece di lamentarsi, volgendo lo sguardo ai crocifisso, sospirava: "Oh Signore, ti lodo, ti ringrazio, ti benedico; voglio patire per te". I pannolini che gli coprivano le gambe, quando venivano tolti, sembravano strinati da ferro rovente.
Negli ultimi mesi il Bianchi, non potè più alzarsi per celebrare la Messa. Ne soffrì ancor più che per i tormenti corporali benché gli fosse portata tutte le mattine la comunione, che poté sempre ingerire nonostante fosse tormentato dal vomito. 11 27-01-1815 si provò a mutare da se stesso la posizione del corpo, gli vennero meno le forze e cadde dal seggiolone per terra. Ridotto in fin di vita, nella notte Suor M. Francesca andò a trovarlo, si sedette vicino al suo letto e conversò a lungo con lui. Tre giorni dopo, e cioè il 31 gennaio, il P. Bianchi la raggiunse in cielo predicendo che quella sua stanza sarebbe stata trasformata in oratorio. Leone XIII lo beatificò il 19-12-1892 e Pio XII lo canonizzò il 21-10-1951. Le sue reliquie sono venerate a Napoli nella chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa.
 
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S.Francesco Da Lagonegro

FRANCESCO DA LAGONEGRO, 1717 – 1804, Lagonegro, Potenza. Italia. Sacerdote. Il Processo fu introdotto a Napoli. Il Decreto di introduzione della Causa è stato emesso il 27 febbraio 1873;. quello di non culto il 26 marzo 1874; quello di Validità del processo l’8 aprile 1891 e quello sugli scritti l’11 dicembre 1912. Protocollo nell’Indice delle Cause della Congregazione N. 1295. Archivio: C 22. É Venerabile.