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Antonio Sementini

(1743 - 1814)

 

Il dott. Antonio Sementini (1743 - 1814) fu un medico insigne, nativo della Città di Mondragone che, per i suoi importanti studi, riuscì ad annoverare il suo nome fra i più famosi scienziati dell'epoca. Il suo campo di ricerca spaziò dalla fisica vitale agli studi di anatomia e di nosologia, segnalandosi come precursore degli studi di neurologia e psichiatria.

Per i suoi meriti potè godere di grande stima e rispetto in tutto il Regno di Napoli e, seppur riconosciuto quale portatore di idee liberali, riuscì a passare incolume attraverso le fatali reazioni che re Ferdinando IV di Borbone riservò nei confronti di chi aveva condiviso gli ideali della rivoluzione napoletana del 1799.

 

 

Aniello Colluzzi

Nacque il 21 giugno 1806 a Pietrapertosa da Giuseppe e Teresa Zottarelli. Si rivelò uno dei chirurghi più audaci dell'epoca e la sua fama, come scrive Vincenzo Marsico, è   legata all'abilità con cui pratica "fulmineamente l'operazione della pietra" (estrazione dei calcoli dalla vescica) col metodo perineale napoletano. Definito dal Guidone nei suoi "Profili", un uomo di genio, attivo, gioviale, arguto e disponibile, il Prof. coluzzi, chiaro e ordinato nelle lezioni, è molto stimato dagli allievi in quanto sceglie spesso i casi clinici più importanti nella sua Sala e li presenta alla discussione collettiva, dalla quale emerge "quel sano orientamento, che è fonte del vero intuito clinico". Dalla sua scuola escono operatori illustri come Ottavio Morisani, decano dell'Ostetricia italiana, Giuseppe Mazziotti, chirurgo e sifilografo, Francesco Dattilo. Aniello Coluzzi trascorre l'infanzia nel paese natio in famiglia, affidato alla cure di don Giacomo Zottarelli, prete liberale. Perso il padre in tenera età, rimane privo di mezzi. Ma, grazie all'aiuto di un certo Rocco Scienzo, continua gli studi a Napoli, dove, disepolo di Leopoldo Chiari, si laurea in Medicina. Torna a Pietrapertosa per esercitare la professione ma l'ambiente è troppo ristretto per le sue ambizioni. Rientra a Napoli. Qui ottiene la cattedra di medicina operatoria e di chirurgia teoretica. E' priamrio ai Pellegrini e poi agli Incurabili, praticando le più belle operazioni, oltre mille erniotomie con splendidi risultati. In altre parole diventa il chirurgo per eccelenza del capoluogo campano. Osserva ancora Guidone: "non vi era consulta al quale non participasse; nessuno, si può dire, nasceva o moriva senza togliersi il gusto di farsi visitare od operare da un tanto uomo. Coluzzi riceve grandi elogi dal celebre chirurgo francese Bonnet che agli Incurabili assiste ad una delle sue operazioni. E' altresì archiatra dei re Ferdinando II e Francesco II di Borbone. Assorbito dal bisturi, non lascia opere scientifiche di rilievo. Comunque, per i suoi tanti meriti, viene eletto socio ordinario della Reale Accademia Medico-chirurgica di Napoli. Muore a Napoli nel 1865, fra il rimpianto generale. Di lui parlano, oltre a Guidone e Marsico, Bozza, Gattini, De Pilato, Lipari, T. Pedio e G. Campolieti nel volume "Il re bomba" (A. Mondadori, 2001).


 

 

 

 

 

SEMMOLA Mariano 

 

Data di nascita: 29/01/1831

Luogo di nascita:              NAPOLI

Data del decesso:           05/04/1896

Luogo di decesso:           NAPOLI

Padre:  Giovanni

Madre: PANICO Fortunata

Coniuge:             CERRETELLI Cristina

Figli:       Giovanni

Titoli di studio:  Laurea in medicina e chirurgia

Professione:      Docente universitario

Carriera:              Professore di Clinica terapeutica e farmacologia sperimentale all'Università di Napoli (1864)

Preside della Facoltà di medicina chirurgica e farmacia dell'Università di Napoli

Medico capo dell'Ospedale degli incurabili di Napoli

Medico consulente dell'Ospedale della Pace di Napoli

Medico consulente dell'Ospedale di S. Eligio di Napoli

Medico consulente dell'Ospedale dei Pellegrini di Napoli

Cariche e titoli: Medico direttore della Croce bianca (1884)

Direttore del Gabinetto di materia medica dell'Università di Napoli

Fondatore e direttore della Clinica terapeutica annessa all'Ospedale della Pace di Napoli

Socio ordinario dell'Accademia medico-chirurgica di Napoli

Membro corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano (4 febbraio 1869)

 

.:: Nomina a senatore ::.

 

Nomina:              07/06/1886

Categoria:           21          

Relatore:             Francesco Ghiglieri

Convalida:          14/06/1886

Giuramento:     10/06/1886

Annotazioni:      Giuramento prestato prima della convalida, in seduta reale d’inaugurazione di sessione parlamentare

Nella seduta di convalida la relazione la presenta Finali

 

Onorificenze:    Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro

Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 9 febbraio 1882

Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia

Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia

Grande ufficiale dell'Ordine del Nicham Iftikar (Tunisi)

Commendatore dell'Ordine imperiale di Leopoldo (Austria-Ungheria)

Cavaliere dell'Ordine della Legion d'onore (Francia)

Gran cordone dell'Ordine di Nostra Signora della Concezione (Portogallo)

Gran cordone dell'Ordine di Isabella la cattolica (Spagna)

Grande ufficiale dell'Ordine di Carlo III (Spagna)

Grande ufficiale dell'Ordine della Stella polare (Svezia)

 

.:: Camera dei deputati ::Legislatura Collegio Provincia 2001 Data elezione Gruppo Annotazioni XV Caserta CasertaI 29-10-1882 Sinistra.:: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

Atti parlamentari – Commemorazione Domenico Farini, Presidente    

Signori senatori! [...]

Il professor Mariano Semmola visse sessantacinque anni, due mesi, sette giorni.

Da poco laureato, e in un'età nella quale altri cerca a tentoni il sentiero della vita, egli, favorito dall'ingegno e dalla fortuna, fu accarezzato da precoce notorietà, assorta di mano in mano a rinomanza.

Insegnante di materia medica e terapia dappoi il 1865 nell'ateneo napolitano; direttore del gabinetto unito a quella cattedra e della Scuola di farmacia; preside della facoltà medica; fondatore e capo dell'unico istituto di clinica terapeutica presso di noi esistente, egli, per oltre trent'anni empì del suo nome l'insegnamento e l'esercizio dell'arte salutare.

Nelle assemblee degli specialisti si dirà quello che io, se anche il dovessi, non saprei: gli studi, le fatiche, le ragioni, le vie, come nel praticar la medicina e nelle elucubrazioni intorno ad essa salisse in grido. Neppure so o devo enumerare i libri, le memorie, le scritture colle quali rese di pubblica ragione il frutto de' suoi studi, delle sue ricerche; né giudicare, o tampoco accennare le dottrine con che le illustrò ovvero ne dedusse, dibattendo le altrui indagini, le opinioni altrui confutando.

Si affermò, si contestò avere egli avanzato la scienza che indaga gli oscuri fenomeni della vita, rischiarato di bella luce i presidi contro certe alterazioni della sanità, per indugiarne almeno il fatale andare, l'esito letale. Quantunque cercatore di soluzioni nuove, o da mettere innanzi in nuova veste, si accampò con spietate argomentazioni contro pretese panacee, favorite e preconizzate da molto rumore, e che l'esperienza poi sfatò.

Spirito indipendente, innata tendenza a singolarizzare, umor battagliero gli fecero volentieri affrontare, lo esposero a giudizi non sempre miti, né spassionati in disputazioni che trascesero i segni d'un dissidio dottrinale.

Comunque, tutti videro la prodigalità con che natura aveva dotato Mariano Semmola, le qualità che lo studio, l'osservazione, svolgendo i suoi talenti, gli conferirono. Scintillio d'ingegno, labbro facondo, penna scorrevole ed elegante furongli efficacissimi strumenti. La persona aggraziata gli valse facile ascendente; la fede in sé stesso, che ad occhio veggente manifestava, inspirò, impose agli altri la fiducia.

Insegnante applaudito; dei primi studî sulla nostra legislazione sanitaria cooperatore; al letto di ammalati cospicui, nelle accademie, nei congressi scientifici, oratore ascoltato, in Italia e fuori, divulgò le dottrine, le opinioni, le pubblicazioni sue; diffuse il suo nome.

La Camera dei deputati, nella quale sedette per il primo collegio di Caserta, durante la XV legislatura; il Senato cui nel giugno 1886 fu ascritto, per il titolo del largo censo colla professione accumulato, gli fornirono autorevole tribuna per raccomandare l'incremento, le esigenze dell'insegnamento medico, in ispecie nell'Università di Napoli.

Della vasta metropoli, che gli diede culla e tomba addì 5 di aprile, fu benemerito, fra il molto altro anche per questo; e per l'abnegazione, al tempo dell'epidemia colerica, di cui la medaglia d'oro lo aveva premiato.

Attestarono sulla sua salma il rimpianto, l'alta stima che godeva, i meriti suoi di cittadino, di medico, di scienziato, i rappresentanti della facoltà e dell'Accademia medica, dei discepoli, dei collaboratori, degli amici, dei maestri suoi.

A quel rammarico si unisce il rammarico del Senato. (Benissimo).

 

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 4 maggio 1896.

 

 

 

D'ANTONA Antonino

 

Data di nascita: 18/12/1842

Luogo di nascita:              RIESI (Caltanissetta)

Data del decesso:           21/12/1913

Luogo di decesso:           NAPOLI

Padre:  Antonino

Madre: DEBILIO Concetta

Nobile al momento della nomina:           No

Nobile ereditario             No

Figli:       Carlo

Fratelli: Rosario, che sposò Pasqua D'ANTONA, cugina, ed era padre di Antonino, Adelina, Francesca, Gaetano

Pietro Luigi, che sposò la cugina Francesca e fu padre di Concettina, Luigi, Piero, Antonino, Rosina, Francesca, Maria, Teresa, Enrico

Concettina

Alfonsina

Parenti:               D'ANTONA Gaetano, zio, fratello del padre, arciprete

D'ANTONA Francesco, zio fratello del padre, padre di Maria Catena, Francesca, Pasqua

D'ANTONA Salvatore, sacerdote, zio fratello del padre

D'ANTONA Giuseppe, zio fratello del padre

D'ANTONA Luigi, zio fratello del padre

Luogo di residenza:        ROMA

Indirizzo:             Villino Durante

Titoli di studio:  Laurea in medicina e chirurgia

Presso: Università di Napoli

Professione:      Docente universitario

Carriera:              Professore ordinario di Propedeutica e patologia speciale dimostrativa chirurgica all'Università di Napoli (11 maggio 1884)

Chirurgo all'Ospedale dei Pellegrini di Napoli

Anatomopatologo all'Ospedale dei Pellegrini di Napoli (1888)

Cariche e titoli: Direttore della Clinica chirurgica dell'Università di Napoli (1903)

Presidente dell'Accademia medica di Napoli

 

.:: Nomina a senatore ::.

 

Nomina:              25/10/1896

Categoria:           21          

Relatore:             Salvatore Majorana Calatabiano

Convalida:          09/01/1897

Giuramento:     11/01/1897

 

Onorificenze:    Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia 1884

Gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 30 giugno 1912

Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 20 gennaio 1889

Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 24 gennaio 1901

 

: Atti parlamentari - Commemorazione ::.

 

Atti parlamentari - Commemorazioni

Giuseppe Manfredi, Presidente

 

Onorevoli colleghi!

Anche oggi dobbiamo il compianto a chi dei nostri in vita non è più. È spento lo scienziato illustre, il rinomato chirurgo Antonino D'Antona. Siciliano, nato in Riesi di Caltanissetta il 18 dicembre 1842, studiò in Palermo, e si addottorò in medicina e chirurgia in quell'Università. Viaggiò a scopo scientifico per circa due anni, in Francia, in Inghilterra, in Germania; e salì nel 1884 la cattedra di propedeutica e patologia speciale dimostrativa chirurgica nell'ateneo di Napoli; ove divenne maestro, che rese chiara la scuola, ed operatore di tale rinomanza, che si espanse per tutta l'Italia e varcò i confini. Va celebrato de' primi che introdussero l'antisepsi; e si hanno di lui pubblicazioni giudicate di molto valore. Socio di più accademie, era presidente della R. Accademia medica di Napoli. Non che fra discepoli e colleghi, amici e congiunti, funestaronsi nel pubblico gli animi, quando nella preziosa vita dell'insigne uomo apparvero i sintomi di tabe minacciosa; e, lungo la malattia, generali e caldi furono i voti per la sua salvezza; ma la negò il fato; ed i giorni di Antonino D'Antona la morte troncò in Napoli il 20 di questo dicembre.

Grandi sono stati gli onori funebri, quanto i meriti dell'estinto. Hanno perduto la cattedra, la scienza, l'arte sanitaria; ha perduto il Senato, che della perdita sente vivo il cordoglio. (Approvazioni).

[…]

DURANTE. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DURANTE (vivamente commosso). Onorevoli colleghi. La morte del senatore D'Antona è lutto angoscioso per l'umanità sofferente e perdita difficile a ripararsi per la scienza e per l’arte chirurgica,

Io vorrei non trovarmi nello stato morale in cui sono in questo momento per poter descri­vere la figura di quell'illustre che onorò la scienza e la patria.

Recente è il suo decesso. Cinquant'anni di amicizia ci legarono indissolubilmente senza che mai una nuve avesse offuscato il nostro affetto. Quindi, data questa condizione dell'a­nimo mio, non potrò dire convenientemente e degnamente dell'uomo. Dirò qualche parola, soltanto come attestato del mio profondo dolore.

Antonino D'Antona, giovinetto ancora, lasciò il paese nativo per educarsi nello studio della grammatica e dei classici in Bronte, da dove uscì con lode per andare a Palermo prima e a Napoli poscia a studiare medicina, che egli seguì con un entusiasmo pari al suo ingegno, pari alla sua invincibile volontà. Eravamo al­lora in un periodo che non volgeva bene per la scienza fra noi specialmente per la scienza medica. I grandi illustri maestri erano spariti e l'indirizzo scientifico, che fu gloria dei secoli passati in Italia, aveva varcato le Alpi, dove luminosamente si era svolto.

Il D'Antona, col suo acume, concepì che per favorire l'insegnamento in Italia, per svolgerlo secondo l’indole della nuova era che andavamo attraversando con la indipendenza della patria, era mestieri di andare all’estero. E corse in quasi tutte le capitali delle nazioni europee, seguendo i più illustri maestri e riportando in patria una messe infinita di sapere scientifico, nel campo medico e nel campo chirurgico.

Iniziò in Napoli il suo insegnamento con un nucleo esiguo di volenterosi giovani che, concepito l’alto valore del maestro, lo seguirono con entusiasmo e diffusero nella studentesca la nozione di quanto si fosse arricchita la scienza, e quali fossero i nuovi orizzonti che si dovevano tenere di mira per ringiovanire la scienza italiana e riportarla alle sue origini di scienza eminentemente sperimentale. Frattanto una folla di giovani studenti lo seguì nelle lezioni e nell’esercizio pratico, dove egli indicava sempre nuove vie di accesso ai più segreti recessi del corpo umano.

Con le sue geniali operazioni, con la sua facile e spedita mano riuscì a strappare alla morte centinaia di persone che vi erano consacrate.

Fu nominato professore ordinario nell’Università partenopea e lì esplicò tutta l'opera sua in una maniera veramente luminosa: maestro insigne, insigni opere diede. Molti sono i suoi lavori teoretici e moltissimi i pratici. Basta ri­cordare l'infinita serie di memorie che riguar­dano le affezioni più gravi che affliggono gli organi interni del nostro corpo: basta l'opera sua classica sulle malattie e tumori cerebrali per fare del D'Antona un caposcuola, quale egli fu, dell'ateneo napoletano. Si devono a lai schiere di chirurgi illustri, che ora onorano tutta l’Italia meridionale e che onorano la perdita del con un largo rimpianto.

La maschia figura del D'Antona mi si pre­senta alla mente in tutti i suoi più piccoli atti, in tutte le sue più segrete cose, avendo egli avuto lunghissima dimestichezza con me. Io vedo nella volontà ferrea di lui, io vedo nell' adamantino carattere suo quale perdita abbia fatto l'Italia, e quanto giustificato, sia il dolore per essa nei suoi allievi. Egli amò la patria e la libertà: l'amò con la fede di apostolo; .a questo amore informò sempre le sue azioni come uomo e come cittadino; resta per­ciò a noi memoria grata di lui e resta a me singolarmente il cordoglio di aver perduto l'a­mico più intimo, il fratello più caro. (Vivissime approvazioni).

TODARO. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TODARO. Mi unisco alla lode che testò ha fatto il nostro Presidente in memoria del com­pianto senatore D'Antona e a quanto ha detto, commosso, il collega senatore Durante con tanta competenza,

II senatore D'Antona, che pari all'alto ingegno ebbe l'animo buono, è stato fra’ sommi che in questi ultimi tempi hanno tenuto in grande onore la chirurgia italiana.

Egli fu lustro e decoro dell'Università di Napoli, ammirato dai maestri e venerato dagli scolari. E perciò propongo che sia inviato dal Senato un telegramma di condoglianze all'Uni­versità dì Napoli ed un altro alla città di Riesi che deve essere orgogliosa di avergli dato i natali. (Approvazioni).

PLACIDO. Domando dì parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PLACIDO. Dopo le commosse parole che avete inteso, onorevoli colleghi, a me non resta che raccogliere le fronde sparse riguardanti la memoria di questo illustre estinto, che rappre­sentava davvero una gloria, una illustrazione italiana. Ed io, senza ingolfarmi nelle parti scientifiche, di cui con tanto affetto avete in­teso parlare dal suo compagno ed amico da cin­quanta anni, mi permetterò solo di ricordare quello di cui fui testimonio tante volte a Napoli.

Egli era stato fin dal 1871 nominato professore a Padova; nel 1873 fu nominato profes­sore a Modena, e trionfando in altri concorsi, era stato anteposto a tutti gli altri i quali si presentarono con lui: ma egli preferì rima­nere a Napoli perché di Napoli egli era entusiasta, di Napoli egli ammirava le glorie, la bellezza naturale, il vivace intelletto dei suoi figliuoli, e di Napoli s'interessò come ammini­stratore del comune, come individuo, il quale in tutti i momenti dava consigli, spendeva d'o­pera sua, e nello stesso tempo tutto praticava nell'interesse della città, che egli aveva scelto come sua patria adottiva, dimenticando la sua nativa Riesi in provincia di Caltanissetta. Ma non era soltanto lo scienziato che s'interessava di Napoli nei congressi, nelle conferenze, nelle discussioni: era il padre, l'amico, era l'uomo di cuore vero e sincero.

Una forma apparentemente burbera nascon­deva un cuore elevato. Quante lacrime egli ha terse! Quanti individui ha strappati dallo spettro della morte! Quante azioni generose egli ha compiuto!

La sua dipartita fu compianta universal­mente; dallo splendore della reggia al modesto abituro del povero, unanime fu il dolore!

A quest'uomo, che rappresentava una gloria d'Italia, a questo scienziato illustre, a questo padre e maestro di tanti discepoli, giunga il lacrimato addio di questo consesso.

Io mi associo alle proposte fatte e mi per­metto di aggiungere che le stesse espressioni di dolore del Senato siano inviate anche alla famiglia che è rimasta inconsolabile. (Appro­vazioni vivissime).

GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIOLITTI, presidente del Consiglio, ministro dell'interno. A nome del Governo, mi associo al dolore del Senato per la perdita di uno dei più illustri suoi membri, di uno scienziato, i cui meriti insigni furono ricordati dal Presidente del Senato e degli onorevoli senatori che parlarono testé.

Il cordoglio del Senato è pure cordoglio della città di Napoli, che annoverava il compianto senatore D'Antona tra i suoi cittadini più be­nemeriti, fra i più chiari scienziati del suo ateneo.

Vadano alla città di Napoli, con le profonde condoglianze del Senato, quelle dei Governo. (Approvazioni).

 

Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 30 dicembre 1913.

 

Note:    Non si sposò, ma ebbe una relazione con una nobildonna francese da cui nacque un figlio che morirà suicida il 17 marzo 1935.

Bibliografia:        1) D. Giordano, "Grandi chirurghi italiani nell'ultimo secolo", Roma 1928. Sigla <Giordano> (coll.: Misc. 659. 12) NON UTILE!

 

 

 

Domenico Cirillo

 

Domenico Cirillo nacque a Grumo Nevano, vicino Napoli, l’11 aprile 1739. Proveniva da una famiglia che enumerava studiosi di medicina e scienze naturali. Nicola, uno zio paterno, era stato un noto medico cartesiano; Sante, un altro zio, aveva raccolto un ricco erbario, passato poi a Domenico. Oltre agli interessi naturalistici, Cirillo si dedicò alla medicina, disciplina in cui conseguì la laurea nel 1759. Nel 1760, appena ventunenne, vinse la cattedra di botanica, che tenne fino al 1777, anno in cui passò alla cattedra di medicina teorica.

In quel periodo Cirillo costruì la sua carriera scientifica e professionale: era professore di fisiologia e ostetricia nell’Ospedale degl’Incurabili e medico di molte famiglie aristocratiche. Nel 1766 pubblicò a Napoli l’opera Ad botanicas institutiones introductio, riedita nel 1770; nello stesso anno, al cospetto della Royal Society, lesse una memoria sulla <<manna calabrese>>, uscita nelle <<Philosophical Transactions>> (1771). Negli anni successivi Cirillo pubblicò, sempre a Napoli, le sue maggiori opere botaniche, zoologiche e mediche, alcune delle quali furono tradotte all’estero, dove effettuò molti viaggi.

Il lavoro di Cirillo si mosse tra l’attività didattica e la ricerca; seguace di Linneo, descrisse numerose piante dell’Italia meridionale, alcune delle quali osservate per la prima volta. Per le sue competenze in questo settore, negli anni Ottanta fu chiamato a dirigere il Museo di storia naturale che l’Accademia delle scienze e belle lettere stava allestendo. In campo medico il suo impegno fu dedicato soprattutto allo studio e alla cura di malattie molto diffuse, a cominciare dalla lue venerea. Per Cirillo, come per altri medici operanti a Napoli nel secondo Settecento (F. Baldini, D. Cotugno, M. Troja, G. Vivenzio), la medicina doveva svolgere un’importante funzione sociale. Da qui le denunce del degrado in cui versavano ospedali e prigioni e le critiche rivolte ai troppi medici che, <<guidati dall’orgoglio>> e <<spinti dall’avarizia>>, calpestavano il <<dovere> di istruirsi e abbandonavano <<al caso la vita di tanti utili cittadini>>. Tematiche affrontate nei Discorsi accademici, usciti a Napoli, ma con l’indicazione di Nizza, nel 1787 e riediti nel 1799.

Furono queste esigenze culturali ed etico-morali che spinsero Cirillo verso le idee illuministiche prima e giacobine poi e ad avere un ruolo di rilievo nelle vicende rivoluzionarie del 1799. Dopo ripetuti inviti del generale Championnet, accettò di far parte della Commissione legislativa, della quale divenne presidente. In tale veste elaborò un <<Progetto di carità nazionale>> che prevedeva la costituzione di un fondo per l’assistenza popolare, creato in buona parte con i suoi stessi averi.

Dopo la caduta della Repubblica e il fallito tentativo di recarsi in Francia con la flotta napoletana, fu rinchiuso prima in Castel Nuovo e poi in Castel Sant’Elmo, dove gli giunse la notizia della condanna a morte, eseguita il 29 ottobre in piazza Mercato, nello stesso giorno in cui salirono sul patibolo Mario Pagano, Ignazio Ciaia e Vincenzio Russo.

 

Testi

 

<<… Pochi individui risentono quel piacere inesprimibile che le altrui miserie inspirano. Pochi sanno amare l’uomo, diventato rispettabile per le sue disavventure. Si crede per contrario fanatismo, e stravaganza il godere nella contemplazione delle disgrazie, de’ torti, del disprezzo che l’opulenza, l’oppressione, l’avarizia fanno risentire alla Classe delle buone, oneste ed innocenti creature. Soccorrere la languente umanità, sollevarla nelle sue miserie, e diventare l’immediato istromento dell’altrui felicità, è stato sempre per me il massimo di tutt’i piaceri. L’esercizio della carità, gli effetti de’ pronti soccorsi contro la fame, la nudità, il freddo, e le atroci e distruttrici malattie, formano la gioja dell’uomo veramente nato per giovare alla Società… >>.

 

(D. Cirillo, Prefazione a Id., Discorsi accademici, L’anno 1799, p. 4).

 

<<… Quando il generale Championnet venne a Napoli, mi fece chiamare e mi designò come uno dei membri del Governo Provvisorio, ch’egli stava per stabilire. Il giorno dopo gl’inviai una lettera, e rassegnai formalmente l’impiego, e non lo vidi più. Durante tre mesi, io non feci altro che aiutare col mio proprio denaro e con quello di alcuni amici caritatevoli il gran numero di [poveri] esistenti nella città. Io indussi tutti i medici, chirurgi ed associazione ad andare in giro a visitare gl’infermi poveri, che non avevano modo di curare i loro malanni. Da questo periodo, Barial venne a stabilire il nuovo governo, ed insistette perché io accettassi un posto nella Commissione legislativa. Io ricusai due o tre volte; ed in fine fui minacciato e forzato. Che cosa potevo fare, e in che modo, e che cosa potevo opporre? Tuttavia, nel breve tempo di questa amministrazione, io non feci mai un giuramento contro il re, né scrissi né mai dissi una sola parola offensiva contro alcuno della Famiglia Reale, né comparsi in alcuna delle pubbliche cerimonie, né venni ad alcun pubblico banchetto, né vestii l’uniforme nazionale: non maneggiai danaro pubblico, e i soli cento ducati in carta che mi dettero, furono distribuiti ai poveri. Le poche leggi, votate in quel tempo, furono soltanto quelle che potevano riuscire benefiche al popolo… >>.

 

(D. Cirillo, Lettera a Lady Hamilton (3 luglio 1799), tradotta dall’inglese e pubblicata in B. Croce, La Rivoluzione napoletana del 1799. Biografie, racconti, ricerche. Terza edizione aumentata, Bari, Laterza, 1912, pp. 252-53).

 

Opere

 

Ad botanicas institutiones introductio, Neapoli 1766 e 1771;

Avviso intorno alla maniera di adoperare l’unguento di sublimato corrosivo nella cura delle malattie veneree, Napoli 1780;

De lue venerea, Neapoli 1780;

Nosologiae methodicae rudimenta, Neapoli 1780;

Osservazioni pratiche intorno alla lue venerea, Napoli 1783;

Clavis universae medicinae Linnaei, Neapoli 1783;

De acqua frigida, Neapoli 1783;

Tractatus de pulsibus, Neapoli 1783;

De essentialibus nonnullarum plantarum characteribus commentarium, Neapoli 1784;

Riflessioni intorno alla qualità delle acque che si adoperano nella concia dei cuoi, Napoli 1784;

Fundamenta botanicae, sive philosophiae botanicae explicatio, Neapoli 1785 e 1787;

Discorsi accademici, Nizza [ma Napoli] 1787 e 1799;

Entomologiae neapolitanae specimen primum, Neapoli 1787;

Plantarum rariorum Regni neapolitani fasc. I, Neapoli 1788;

Metodo per amministrare la polvere antifebbrile del dottor James, Napoli 1789;

Tabulae botanicae elementares quatuor priores sive icones partium, quae in fundamentis botanicis describuntur, Neapoli 1790;

Materia medica regni animalis, Neapoli 1792;

G. Cyperus, Parma 1796;

Formulae medicamentorum e Pharmacopea londinensi excerptae, Neapoli 1796;

Formulae medicamentorum usitatiores, Neapoli 1796;

Materia medica regni animalis, a cura di G.M. Carusi, Neapoli 1861.

 

 

 

 

ANGELO PEZZULLO (1873-1932)Chirurgo d’indiscusso valore, deputato al Parlamento, cittadino benemerito per aver tanto contribuito allo sviluppo ed al potenziamento del nostro Ospedale di Pardinola, Angelo Pezzullo, fratello di Carmine, onorò il nostro paese con la sua complessa attività professionale e politica, con la beneficenza che con umiltà e dedizione profuse.Nacque in Frattamaggiore il 10 ottobre 1873 e mostrò ben presto grande amore al sapere; avviato agli studi classici, sentì, però, tutto il fascino delle scienze e si dedicò con amore allo studio della medicina e chirurgia, discipline nelle quali conseguì brillantemente la laurea il 3 agosto 1898.I principi di medicina appresi dal Petteruti e dal Guarino gli valsero di base alla chirurgia, nella quale si affermò rapidamente, giacché, appena due anni più tardi, vinceva il concorso per titoli, esami e prova per assistente chirurgo presso gli Ospedali Riuniti di Napoli. Successivamente, a seguito di altro concorso, fu vice direttore di sala del grande ospedale Incurabili di Napoli, alle dirette dipendenze del grande chirurgo Prof. Teodoro D’Evant, posto che tenne per più anni e che poi dovette lasciare perché, essendo Consigliere Provinciale, fu nominato componente della Commissione Provinciale di beneficenza, alla quale è affidata la vigilanza sugli ospedali.Nominato Direttore a vita del nostro Ospedale Civico di Pardinola seppe, da modesto ricovero per pochi ammalati cronici, farne una grande e moderna cara di cura, particolarmente famosa, all’epoca, per la vastità e modernità delle attrezzature, che poté ottenersi soprattutto per i suoi numerosi e cospicui contributi personali. A lui si deve la costruzione della grande sala per le operazioni chirurgiche, la stanza per le medicature, la stanza di disinfezione con autoclave, delle stanze a pagamento per operati di chirurgia, dei reparti per operati, distinti nei due sessi, del padiglione per la maternità ed infanzia.Eloquentissime sono le statistiche di operazioni di alta chirurgia da lui eseguite su una moltitudine di infermi che, anche da lontani paesi, ricorrevano a lui ed egli li curava a Frattamaggiore per accrescere il lustro della cittadina e del suo ospedale, che durante la guerra 1915-18 fu militarizzato, restando sempre a lui affidata la direzione.Per rendersi utile ai suoi concittadini egli si assoggettava ad una vita febbrile, il che contribuì non poco a logorargli il fisico: era, infatti, costretto a dividersi fra gli Incurabili, il nostro Ospedale e la complessa attività professionale, estesa in tutta la provincia, attività che gli derivava dalla fama di valente chirurgo, che aveva saputo meritare.Essenzialmente, però, la sua scienza era al servizio dei poveri: non passava giorno che egli non dedicasse almeno tre ore del suo tempo prezioso a curare gratuitamente, nel suo ambulatorio privato, gli ammalati bisognosi: per lui la professione diveniva un veto apostolato.Tanta benefica operosità fu giustamente premiata con il conferimento della medaglia d’argento quale benemerito della sanità pubblica.Angelo Pezzullo servì anche il paese ricoprendo importanti cariche politiche. Fu dapprima Consigliere Provinciale e successivamente, nel 1913, fu eletto Deputato al Parlamento per il Collegio di Casoria, mandato che tenne ininterrottamente per ben quattro legislature, distinguendosi sempre per elevatissimi sentimenti patriottici; fu anche membro della Giunta Generale del Bilancio; nel 1920 egli fu fra i pochi difensori dell’ordine minacciato dal sovvertivismo. Nello stesso anno fu nominato presidente del Consiglio Provinciale di Napoli, seggio tenuto in precedenza dall’illustre patriota Tommaso Senise. Più volte intervenne a Corte, designato in forma ufficiale dal Parlamento.Negli ultimi anni di sua vita, quando avrebbe potuto concedersi un ben meritato riposo, fondò in Frattamaggiore una casa di salute per chirurgia, la quale divenne in breve tempo più che famosa.Ma la morte era in agguato: il 18 marzo 1932, improvvisamente egli chiudeva la sua vita, spesa integralmente al servizio della Patrie e della società, costantemente rivolta al nobile ideale d’una più salda fratellanza umana.Uomo di studio, scrisse e pubblicò vari pregevoli lavori scientifici nell’Archivio Internazionale di Medicina, nella Pratica del Medico ed in altre rassegne.Con la sua scomparsa l’Italia perdeva un autentico gentiluomo d’antico stampo e Frattamaggiore un suo figlio geniale, generoso, munifico.

 

 

 

 

CURZIO  Carlo nato a Polla il 6 Luglio 1692, dottor fisico a Napoli nella Santa Casa degli Incurabili, studiò e debellò in una ricoverata un raro e stravagante morbo cutaneo, poi passato alla storia della medicina come sclerodermìa o morbo del Marie, che descrisse diffusamente in un volumetto, edito a Napoli nel 1753, Discussioni anatomico-pratiche di un raro, e stravagante Morbo Cutaneo in una Donna felicemente curato in questo grande ospedale degli incurabili, il quale gli valse a più di duecent’anni di distanza, su proposta del clinico Mario Giordano, l’intitolazione dell’appena fondata Società Scientifica per lo studio delle Malattie del Tessuto Connettivo. L’intitolazione ebbe breve durata perché, morto il Giordano, gli allievi cambiarono l’intitolazione in onore del loro diretto maestro, tuttavia presso l’ingresso degli Incurabili una vecchia lapide ne tramanda ancor’oggi la memoria. Promosse a Polla il culto dell’Addolorata e, nel 1760, acquistò in San Nicola dei Greci un altare di Patronato, in cornu Evangelii, sul quale fece collocare un dipinto raffigurante la Pietà. Istituì un monte in favore di ragazze povere della sua parrocchia che dovevano maritarsi, attivo fino al primo ventennio del secolo scorso (V. Bracco, Polla. Linee di una storia, Edizione riveduta ed ampliata, Salerno 1999, pagg. 285-290).

 

 


De Martini (De Martino), Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani

DE MARTINI (De Martino), Antonio. - Nacque a Palma Campania (Napoli) il 26 febbr. 1815, da Giuseppe e da Girolama Manfredonia. Seguì gli studi medici a Napoli, dove si laureò nel 1836. Dopo la laurea compì viaggi d'istruzione scientifica, visitando scuole e centri di studio italiani e stranieri. Si recò in particolare a Vienna e a Parigi: in quest'ultima città soprattutto trovò un ambiente fertile, da cui trasse stimoli per la ricerca e con il quale mantenne collegamenti anche in seguito

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Antonio Adamucci (Maglie1761 – Parigi, dopo il 1830) è stato un medico italiano.

Dopo aver studiato a Napoli e a Parigi fu primario chirurgo all'Ospedale degli Incurabili. Venne coinvolto in una congiura giacobina, e per questo dovette lasciare Napoli stabilendosi perennemente a Parigi.

Viene anche ritenuto un anticipatore del positivismo: prescindendo dall'anima immateriale, non soggetta ad analisi scientifica, postulò l'esistenza di un'anima fisica, che avrebbe il compito di presiedere ai vari movimenti e che sarebbe espressione del complesso delle funzioni nervose.

 

 

 

Michele Pietravalle

Figlio di Paolo e di Angiolina Suriani, nasce a Salcito nel 3 ottobre 1858. Dopo la licenza liceale conseguita al Mario Pagano di Campobasso, s’iscrive alla Facoltà di medicina a Napoli, seguendo le orme paterne. Allievo del Cardarelli, si laurea nel 1884. Ottiene il posto di medico condotto a Fasano nelle Puglie (dove nasce la primogenita Lina, la futura scrittrice), che occupa per quattro anni. Poi torna agli studi di laboratorio prima a Napoli, poi a Roma, pubblicando varie opere di carattere scientifico. Per quattordici anni ricopre l'incarico di medico provinciale a Torino, poi occupa lo stesso posto a Caserta. Vince il concorso di direttore generale sanitario degli Ospedali riuniti di Napoli e nel 1898 consegue la libera docenza in igiene pubblica nella Reale Università napoletana. All'intensa attività medico‑pedagogica affianca quella politica. Infatti, fin dal liceo, sente forte il richiamo all'impegno politico: è uno dei fondatori delle prime associazioni operaie nel Molise ed è tra i pionieri dell'Italia Irredenta. Durante gli studi universitari è ardente agitatore nei circoli di Napoli, nei quali convengono repubblicani, patrioti, organizzati e capitanati dal filosofo Bovio e dal patriota Imbriani. È lui che fonda nella città partenopea il circolo Giordano Bruno, per protestare contro il rettore dell'università che aveva celebrato un "giubilo" in onore di S. Tommaso d'Aquino. Per la difesa dei meridionali si è anche battuto in duello, quantunque inesperto nel maneggio delle armi. Il primo riconoscimento politico gli viene dal Molise, che lo elegge consigliere provinciale dal 1889. Tutte le questioni riguardanti interessi civili ed economici di quella regione lo trovano all'avanguardia. A lui si deve l'istituzione della cattedra d’agricoltura pratica nel Molise. Dal 1915 al '23 è presidente del consiglio provinciale del Molise. Nel 1906 si candida alla Camera dei deputati, soccombendo per pochi voti. È eletto nel 1909 nel collegio di Bojano e rieletto in seguito, con sempre più plebiscitarie votazioni, nelle elezioni del 1913, nello stesso collegio, e nel 1919 e 1921 in quello di Campobasso (è deputato dalla XXIII alla XXVI legislatura). Interventista convinto, è il promotore (con altri sei deputati) e il principale animatore del "Fascio parlamentare di difesa nazionale", che riunisce in breve tempo 260 deputati e senatori. In qualità di deputato è chiamato a numerosi incarichi, fra i quali: componente del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, membro del consiglio superiore della Sanità pubblica, componente del Comitato centrale per la lotta contro la tubercolosi. Implicato nell'inchiesta parlamentare sul manicomio di Nocera, ne esce innocente. Tiene un trentina di discorsi parlamentari su opere pubbliche del Molise, sul Mezzogiorno, sulla politica annonaria, sull'emigrazione, sull’infanzia abbandonata. Il più grande onore arriva per P. nel 1919, quando è eletto vicepresidente della Camera dei deputati, carica che conserva fino al decesso, avvenuto il 28 giugno 1923, quando muore per le ferite riportate in seguito ad un attentato subito in Piazza Oberdan a Napoli qualche giorno prima, pugnalato da uno sconosciuto. Solo dopo nove mesi dal delitto si poté stabilire che Giuseppe Falanga, l'assassino, era stato istigato all'omicidio da infermieri dell'Ospedale della pace e da gruppi rimasti sconosciuti. P., dopo un'interruzione, aveva riassunto la carica di direttore degli Ospedali riuniti di Napoli ed in tale veste, con l'impeto di sempre aveva toccato interessi legati alla camorra, poiché il suo ritorno significava il ripristino della disciplina e dell'organizzazione. A rappresentare la famiglia al processo fu l'avvocato Spiridione Caprice, futuro deputato fascista. 

 

 

 

N

on sono molte le pagine nobili del giornalismo molisano, diciamo tra l’Ottocento e la prima parte del secolo scorso. E neppure, di conseguenza, le figure. 
Fra i primi nomi che vengono in mente: a Campobasso, colui che si può considerare il capostipite, Domenico Bellini; poi Lorenzo De Luca, fondatore del «Sannio». Nel Basso Molise, Michele Campolieti, che partecipò ai principali giornali della sua epoca (fine Ottocento) prima di darsi alla politica e diventare sindaco di Termoli. Nella zona di Boiano, Giuseppe Cafardi, dalla scrittura finissima, e il socialista Luigi Manfredi. A Isernia, un autentico maestro, Ferdinando De Matteis, e il politicamente ambiguo, ma geniale, Uberto Formichelli, scrittore di straordinarie qualità.

Ma fu negli anni del primo dopoguerra che un giovane giornalista, Nicola D’Abramo, di Lucito, cominciò a proporre un modo di intendere il giornalismo moderno, aggressivo, fortemente motivato, e del tutto nuovo rispetto a quella che fin allora era stata considerata la missione del giornalista: adesione cieca alla persona del proprio padrone e demolizione globale degli avversari. 
Nicola D’Abramo è un socialista, di quelli veri, tenaci e convinti, e scrive su un giornale socialista di cui è direttore, ma si può dire che questa caratteristica rimanga quasi estranea al suo lavoro. D’Abramo fa il giornalista, senza padroni e senza altra finalità se non quella di appurare la verità in tutti i suoi particolari più importanti, e denunciarla. 
D’Abramo indaga sull’uomo politico molisano all’epoca più potente, Michele Pietravalle, che era all’apice della sua carriera politica (di lì a poco, già in periodo fascista, sarebbe diventato vicepresidente della Camera, per poi morire assassinato nel 1923), seguendo il filo delle notizie che filtravano dai giornali di Napoli, scavando nella vita del deputato, e nei traffici, tra affari e politica, che intorno a lui si organizzavano. 
D’Abramo non concesse proprio via di scampo a Pietravalle, il quale non a caso si guardò bene dall’avviare iniziative giudiziarie, come viceversa all’epoca era pratica comune. Salvo riconoscersi il pretesto, logoro e assai poco persuasivo, di non volersi abbassare a quei livelli, di essere “troppo superiore per raccogliere simile immondizia” ecc. ecc., che era un classico dell’armamentario trombonistico dell’epoca. 
D’Abramo avvia la serie dei suoi attacchi partendo da un evidente conflitto di interessi, tra la carica che Pietravalle ricopriva nel Manicomio di Nocera Inferiore, a 25 mila lire l’anno di stipendio, e quella di presidente del Consiglio Provinciale, che dell’istituto era di fatto promotore e finanziatore. 
D’Abramo poi spiegherà minuziosamente la scriteriata gestione finanziaria dell’istituto, e il potere che Pietravalle, senza alcuna effettiva forma di controllo, esercitava sulla struttura. 
Così D’Abramo fotografa la situazione: 

Un bel giorno nel Consiglio Provinciale del Molise fu possibile questa enormità. L’On Pietravalle, Presidente del Consiglio stesso fece presentare da qualche suo giannizzero questa proposta: “Siccome i folli del Molise sono ricoverati in gran parte nel Manicomio di Nocera, si provveda per l’assistenza sanitaria di detti folli [e] si istituisca quindi un posto di medico assistente con relativo stipendio. E siccome l’On. Pietravalle è anche medico e risiede a Napoli, si affidi l’incarico a lui”. 
Il Consiglio Provinciale approvò (era tutto conservatore) e Pietravalle trovò naturalissimo accettare. Non basta. Siccome poi tra i pazzi molisani di Nocera c’erano anche... le pazze, ci fu chi trovò urgente nominare un medico specialista delle malattie delle donne. E siccome l’On. (??) Pietravalle aveva un genero ginecologo, ecco che il patriottico consiglio trovò conseguente affidargli quest’altro incarico con relativo stipendio. 


D’Abramo, da questo punto, non mollerà più la presa. Alle vicende di Pietravalle, viste da ogni possibile prospettiva, dedicherà tutta la sua attenzione. La serie degli articoli verrà a costituire un lungo e potente atto d’accusa, il più notevole, forse, di tutta la storia della stampa periodica molisana. 
Nella parte che pubblichiamo, D’Abramo si sofferma su un binomio nato nel più oscuro sottobosco affaristico napoletano. 


Dicemmo del glorioso binomio Arienzo - Pietravalle. Osserviamo ora i due compari all’opera. Arienzo fonda l’industria fisico-terapica a Napoli (piazza Dante) e Pietravalle ne diventa direttore. Arienzo diventa proprietario delle Terme già Patamia, presso Bagnoli di Napoli, e sullo stabilimento compare subito: Direttore Sanitario prof. On. M. Pietravalle. Questi fa pure un’interrogazione alla Camera contro il disservizio della ferrovia cumana che, come si sa, conduce i bagnanti in dette terme [...].
Siamo nel 1910-1911: il colera fa la sua apparizione in Napoli: la città è dichiarata infetta e l’emigrazione si sospende con grave danno dei contadini meridionali. Si studia, si corre ai ripari ed il Governo vede la necessità di riprendere l’emigrazione isolando i passeggeri, alcuni giorni prima d’imbarcarsi. 
Invano si cerca un grande albergo, un locale adatto a contenere parecchie migliaia di emigranti e ciò che il Governo non trova sa trovare Arienzo. Presso la stazione della Circumvesuviana al corso Garibaldi in Napoli, a 4 o 5 metri sotto il livello stradale, parecchi baracconi di legno e mattoni prima adibiti a depositi di metalli, di proprietà del Comm. Elia vengono presi in affitto dall’Arienzo per l’annua pigione di lire 8, 000 – e quando la cittadinanza napoletana si agita e tutti riconoscono che quei locali non sono adatti, specie dal punto di vista igienico e anche perché per le migliorate condizioni sanitarie della città le baracche corrono il rischio di rimanere senza gl’ospiti desiderati, Arienzo preme il bottone e... Pietravalle scatta e nella tornata dell’11 marzo 1911 alla Camera dei Deputati alza la voce tonante in difesa degli... emigranti!
Così i locali vengono subaffittati poco tempo per 109 biglietti da mille l’anno, somma enorme, scandalosa che Arienzo viene a percepire per quelle insalubri baracche del R. Commissariato dell’Emigrazione [...].

La guerra manda il medico Arienzo, allora consigliere della Camera di Commercio, non presso i feriti ma Consigliere delegato delle fabbriche meridionali di materiale bellico e concorre con capitali propri ad aprire una fabbrica di proiettili: La Partenopea. 
Se c’è qualcuno che voglia saperlo diciamo che ostetrico dei proiettili che si fabbricavano nella Partenopea era il dottor Carlo Volpe, genero di Pietravalle. E Don Michele, in quella ridda di proiettili e di milioni vuol la sua parte e si fa nominare consulente della Partenopea con uno stipendio di un migliaio di lire. 
Giova ricordare che in quel tempo lo scrupoloso deputato era anche membro della Commissione Esoneri [dalla leva], di Napoli – (A proposito: il dott. Volpe fu esonerato dal suocero o era riformato? In questo secondo caso, se aveva tale grado di cecità come poteva lodevolmente esercitare la professione di ginecologo dei proiettili?). Cosa si facesse, nella Partenopea, dovrebbe saperlo la Commissione d’inchiesta sulla guerra; a noi basta rilevare che centinaia di proiettili scartati da una Commissione di collaudo, venivano dichiarati ottimi da una nuova commissione, a distanza di pochi giorni [...].
Ancora. Non abbiamo detto che Arienzo era in quel periodo interessato nel Consorzio Granario di Napoli? Gli scandalosi lucri di quella formidabile ed onorata società non bastavano e fu chiesto al Governo una maggiore assegnazione di grano per la Provincia di Napoli. Ora nessun deputato di Napoli fiatò per cosa apparentemente così importante, ma il compare di Arienzo, mentre il capoluogo del suo collegio, Boiano, si rivoltava per fame sostenne con calore le ragioni del Consorzio di Napoli. 
Nel medesimo tempo Arienzo, mercé interessamento di Pietravalle otteneva dal Ministero della Guerra che i militari ricoverati nei numerosi ospedali di Napoli bisognosi di cure fisico-terapeutiche, fossero mandati a perder tempo, a tanto la seduta, nel precitato istituto di sua proprietà in piazza Dante, diretto, come abbiamo detto, da Pietravalle. Così Don Michele durante la guerra prendeva gli stipendi di: 
1 Deputato 2 Maggiore Medico 3 Direttore degli Ospedali di Napoli 4 Membro della Commissione Esoneri 5 Consulente della Partenopea 6 Direttore dell’Istituto Arienzo 7 Direttore delle Terme Arienzo 8 Componente della Commissione Superiore della Pubblica Istruzione 9 Presidente del Consiglio Provinciale di Campobasso. 
Buon appetito! e avanti che la vita è gioconda.

(n. d’abramo, Gravissime rivelazioni su alcuni poco onorevoli del blocco molisano, «Molise, Avanti!», 19 ottobre 1921; La nostra inchiesta su Pietravalle, «Molise, Avanti!», 22 luglio 1922. Su D’Abramo si veda r. lalli, Nicola D’Abramo ha superato i cento anni, «Il Risveglio del Molise», gennaio-febbraio 1990, p. 16; g. mascia, Quando nel Molise la massoneria era un’altra cosa, «Molise», gennaio 1993, p. 32; m. tuono, Letterati e riviste nel Molise del tardo Ottocento, «L’Arcolaio», gennaio 1997, p. 36).

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Gennaio 23 2004

ALTRI POLITICI


M

i si riferisce, che giorni or sono, nei locali del municipio di Roccamandolfi, accennando con linguaggio scorretto alla mia persona, dichiaraste di essere dolente della mia assenza, che vi impediva di smascherarmi in un contraddittorio. Se ciò è vero, vogliate fissare, non oltre martedì prossimo, 10 corrente, il giorno, il luogo e l’ora che vi piaceranno, perché io possa mettervi in condizione di soddisfare il vostro desiderio. E arrivederci. 
(Michele Romano, Lettera aperta all’On. Michele Pietravalle, «Il Rinnovamento Molisano», 1923)

 

 

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Cento anni fa moriva Francesco Laccetti

Anatomista e chirurgo di chiara fama
Fino agli inizi degli anni ’90, all’interno della Villa comunale, un busto in bronzo su cippo in pietra, ne ricordava la memoria. Sotto il busto, incisa su marmo, si poteva leggere la seguente epigrafe: FRANCESCO LACCETTI / INNALZO’ LA SCIENZA MEDICA / CON LE SUE DOTI ELETTE / DI MENTE E DI CUORE / ESEMPIO IMPERITURO / DI BONTA’ E DI FEDE / NEI VALORI PIU’ ALTI DELLA VITA / VASTO 1844 - NAPOLI 1910. Con il furto del busto, insieme a quello del poeta e storico vastese Luigi Anelli, collocato poco distante, sono scomparsi anche i cippi e le relative epigrafi, quasi a cancellarne definitivamente la memoria. Figlio di Luigi, Francesco Laccetti nacque a Vasto il 19 novembre 1844. Dopo i primi studi compiuti sotto la guida paterna, si recò a Napoli dove studiò medicina, laureandosi nel 1870 con brillanti voti.Lavoratore e chirurgo instancabile, per la sua professionalità venne chiamato a ricoprire ben presto cariche prestigiose: chirurgo primario nell’Ospedale degli Incurabili, medico-chirurgo nella Croce Rossa, Medico di 1’ classe nella Riserva Navale; fu chiamato ad insegnare Anatomia Topografica e, successivamente, alla libera docenza in anatomia descrittiva, in medicina operatoria e in clinica. Nel 1895-96, per incarico ministeriale, dette lezioni di Anatomia Umana nel R. Istituto di Belle Arti.Fu membro del Consiglio Igienico di Napoli e nel 1903 fu incaricato di insegnare Anatomia Chirurgica e Corso di Operazioni all’Università di Napoli. Era molto seguito dai suoi studenti i quali lo amavano e lo stimavano come scienziato, ma anche come il padre ideale che vedevano in lui.
Nella lunga carriera professionale scrisse alcuni libri, mentre molti suoi scritti vennero pubblicati in riviste scientifiche specializzate.
Morì a Napoli il 25 settembre del 1910 colpito da un attacco di angina pectoris. Ecco il racconto degli ultimi giorni di vita, raccontati da Francesco d’Ovidio in un articolo apparso sul “Giorno”: “…S’è poi saputo che ad un amico aveva confidato il timore d’un male cardiaco e il bisogno di farsi osservare da qualche collega. Ma ai suoi di casa nulla lasciò trasparire. Chi sa se un segreto malore non gli si insinuò nel petto quel giorno malaugurato che la sua carrozza fu investita furiosamente da un’altra e ne andò in pezzi, e lui col diletto figliuolo Carlo, figliuolo e collega assiduo, non ebbero altro scampo che di balzare fuori e di cadere malamente a terra. Ben egli dominò ogni commozione; e fatta curar subito la ferita sua e quella del suo più che figlio in una casa di salute prossima al luogo del disastro, tirò poi dritto fino alla casa di salute sul Vomero, propria di lui e di Giovanni Piccili, e lì tranquillamente diresse la medicatura degli ammalati.
…La sera del 24 settembre, sentì una fitta al lato sinistro, che gli strappò un ahi doloroso; ma lo spiegò alla famiglia come il morso d’un insetto. La mattina successiva, mentre s’alzava e si vestiva, espresse d’un tratto il bisogno che gli si aprisse la finestra, mancandogli il respiro, poi strinse al seno un crocifisso sussurrando: - Troppo presto! Poveri figli miei! – E spirò. …E così l’uomo che aveva tante volte ridato ad altri la vita, non potè esser soccorso in tempo debito. Per colmo d’ironia il riposo domenicale teneva chiuse tutte le farmacie prossime, sicchè i vani tentativi di rianimarlo ebbero ad essere ritardati”.
Il 21 maggio dell’anno successivo, presso l’Ospedale degli Incurabili a Napoli si svolse una solenne cerimonia con lo scoprimento del busto del nostro concittadino, opera dello scultore De Luca dell’Istituto di Belle Arti.
A tre anni dalla morte una lapide venne murata sulla sua casa natale, con il seguente testo: IN QUESTA CASA / NASCEVA IL XIX NOVEMBRE MDCCCXLIV / FRANCESCO LACCETTI / INSIGNE ANATOMISTA E CHIRURGO / NON MENO INSIGNE / PER CANDORE E NOBILTA’ DI COSTUME / SERBO’ NEL PIU’ MATURO DOMINIO / DELL’ARTE / LA DELICATA SENSIBILITA’ D’UN NOVIZIO / NAPOLI EBBE A PALESTRA / LA SUA VASTO PORTO’ SEMPRE NEL CUORE / ED ESSA ORGOGLIOSA DI LUI / GLI POSE QUESTO RICORDO / NEL MCMXIII / TRE ANNI DOPO LA SUA MORTE.
Lino Spadaccini
autorizzato da   nicoladadamo@tin.it

 

 

LEOPOLDO CHIARI, (1790-1849) uno dei precursori della chirurgia moderna, inventore di diversi ferri chirurgici, titolare della cattedra di chirurgia teoretica e ostetricia della Regia università di Napoli. Nacque a Ripacandida il 13 Ottobre 1790 dalla gentildonna venosina Teodora Lioy  e dall'avvocato Nicola.

      La storia ci dice che il padre del chirurgo, ricevette dal Duca di Ripacandida Tommaso Mazzacarra  l’assoluta potestà della spada, nelle terre di Ripacandida. Spada che il Chiari brandì per intimare allo stesso Duca di non tornare più a Ripacandida. Lo stesso Chiari distribuì le terre usurpate dal Duca, ai legittimi proprietari e bandì le prime elezioni. Il popolo Ripacandidese per riconoscenza lo acclamò Sindaco. Tutto questo a dimostrazione della nobiltà d’animo di cui la famiglia Chiari era intrisa.

 

      In giovine età aveva studiato presso il seminario di Melfi dove, grazie anche all’istruzione ricevuta dal sacerdote Tobia, apprese il latino in modo eccelso al punto da parlarlo correttamente, mentre con l'ausilio del canonico Jazzi imparò il greco, il francese e l'inglese. Abbandonata la carriera ecclesiastica, anche contro la volontà della famiglia, nel 1812 si trasferì in Napoli dove, grazie alle sue capacità, entrò nel famoso Collegio Medico Cerusico aggregato all'Ospedale degli Incurabili.

      Nella storia della medicina Napoletana della prima metà del secolo XIX fu un grande che venne universalmente salutato col nome di "Principe dei Chirurghi".

      Diresse il Gabinetto Anatomo-patologico dell’ospedale degli “Incurabili”.  All’Università di Napoli fu titolare, dal 1847 e fino alla sua morte, delle cattedre di  Chirurgia Teoretica e di Ostetricia.

      Fu socio benemerito della Reale Accademia Medico – Chirurgica, alla quale presentò la proposta del metodo perinale bilaterale nella litotomia adatto ai grandi calcoli, e l’invenzione del gorgeret.

     La sua principale invenzione fu la "Ciappola o susta compressiva per la ligatura delle arterie negli aneurismi". Tra le altre invenzioni si annoverano "La macchina a piano inclinato per la frattura del femore con la vite che può graduare l'allungamento, l'apparecchio per la frattura della clavicola e l'apparecchio per la frattura della rotula".
Famoso anche per aver dato, in anatomia, il nome di "Tabaccheria anatomica" alla regione circoscritta dall'estensore lungo del pollice e dall'estensore breve.

      Morì in Napoli il 2 dicembre 1849.

      Ripacandida, in occasione dei 150° anniversario della sua morte gli ha dedicato solenni festeggiamenti, tra i quali un annullo filatelico, una mostra dei ferri chirurgici, messi a disposizione dai suoi eredi, e diversi convegni specialistici.

      In tutta Italia gli sono state dedicate sale, da parte di Università e Ospedali.

 

 

 Ricerche di Michele Disabato  Versione stampabile

 

 

ANGELO CAMILLO

DE MEIS

BIOGRAFIA

 


Nasce a Bucchianico il 14 luglio 1817 da Vincenzo e Giustina Cardone (originaria di Atessa). 

Nel 1827 Camillo viene avviato agli studi a Chieti, nel Regio Collegio Convitto tenuto dai Padri Calasanziani; vi conoscerà i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, dei quali diverrà amico inseparabile. 

Nel 1832 Camillo si trasferisce a Napoli per proseguire gli studi. Oltre che alle discipline specifiche mediche, il giovane studierà e s'appassionerà ad argomenti letterari, naturalistici, filosofici. 

Nel 1841 Camillo prende la laurea in medicina. Nello stesso periodo diverrà socio dell'Accademia dei Naturalisti di Napoli della quale più tardi diverrà presidente.

Nel 1843 è medico aggiunto presso l'Ospedale degli Incurabili a Napoli. Nello stesso anno egli aprirà una sua Scuola di Medicina, che conterà fino a 200 allievi, nella quale si terranno corsi di Anatomia, Fisiologia, Patologia e Scienze Naturali.

Il 15 aprile 1848 De Meis viene eletto deputato dell'Abruzzo Citra (Collegio di Chieti) alla Camera Napoletana. Il 17 maggio 1848 Re Ferdinando II scioglie la Camera. Il 15 giugno, a seguito di nuove votazioni, De Meis verrà rieletto deputato alla nuova Camera, che verrà sciolta dal Re nel mese di dicembre.

Nel 1849 Camillo è costretto a chiudere la scuola di Medicina. In quanto ricercato dalla polizia per le vicende rivoluzionarie del 1848, abbandona Napoli e si nasconde nella provincia.

Il 19 aprile 1849 si spegne in Bucchianico Vincenzo De Meis che Camillo potrà rivedere, ormai cadavere, solo perché munito di uno speciale salvacondotto procuratogli dall'Ambasciatore inglese a Napoli. Il 10 ottobre fugge dal Regno raggiungendo Parigi, dove frequenta la Facoltà Medica e dove insegnerà semeiotica.

Nel 1853 Camillo si trasferisce a Torino dove rimarrà fino al 1859 esercitando la professione medica. Poi si trasferirà per insegnare Fisiologia presso la Facoltà Medica dell'Università di Modena.

Nel 1863 viene nominato professore di Storia della Medicina nell'Università di Bologna, cattedra che terrà per ventott'anni, fino alla sua morte. Inutilmente, e a più riprese, la Facoltà Medica di Napoli gli offrirà la stessa cattedra all'Università partenopea: neppure sollecitato dal carissimo amico Francesco De Sanctis, allora ministro dell'Istruzione, egli accetterà.

Nel 1870 si verifica una gran carestia in Italia. Nascostamente e senza che alcuno possa risalire alla fonte, Camillo De Meis organizza la distribuzione gratuita di venti centesimi di pane al giorno e per persona, a tutti i cittadini di Bucchianico che ne facciano richiesta. Di questa operazione, che costerà a Camillo qualche migliaio di lire (di allora!), si scoprirà il benefattore solo dopo la morte dello stesso quando, riordinando le carte del suo studio a Bologna, si troveranno i mazzetti di cedolette che davano diritto alla razione di pane, annullate per l'avvenuta distribuzione.

Il 18/10/1890 in una lettera a Cesare De Laurentis sindaco di Chieti, De Meis dichiara di voler mandare parte dei suoi libri "alla nostra città di Chieti" a titolo gratuito.

Il 6 marzo del 1891 Angelo Camillo De Meis muore all'età di 73 anni.

 

 

 

 

Professor.Dott. Vittorio Monteleone

Il Prof. Monteleone  per alcuni anni è stato in servizio presso l’ ospedale  Incurabili , in qualità di Primario del reparto  di ortopedia (1966-1972)

Nell’ anno 1973 diventa primario presso l’ ospedale San Paolo  fino al 1975.

Nell’ anno 1976  diventa Primario  dell’ ospedale Cardarelli  fino all’ anno 2000.

Al Professore Monteleone gli viene riconosciuto  la Medaglia d’ oro al merito per la sanità pubblica.

La  sua  scuola  ortopedica  annovera molti allievi, che negli anni  dimostrano la loro bravura e tutti i suoi allievi(24) diventano negli anni Primari  di reparti di ortopedia e Traumatologia , apprezzati sia in Campania  e che oltre .

Il Prof. È stato anche Presidente  di molte società ed associazioni mediche regionali e nazionali.

s.i.o.t.  :società italiana  ortopedia e traumatologia

o.t.o.d.i  :  ortopedici traumatologi ospedalieri italiani

s.o.t.i.m.i: società di ortopedia  traumatologia  dell’ Italia meridionale  e insulare

a.i.r  : associazione italiana riprotesizzazioni

a.c.o.t.o : associazione campana  ortopedici traumatologi ospedalieri

s.i.c.g :  società italiana  chirurgia del ginocchio

ha costantemente partecipato alle  riunioni  della s.m.o.n. fino a circa 25 anni fa. Cioè  fino a quando detta scuola non ha dato più vita alcun seguito  di vita  e di attività.

Orgoglio  del Professore  Vittorio Monteleone , il figlio Giuseppe Monteleone  anche egli   divenuto  Primario presso gli Incurabili.

 

 

 

De Amicis, Tommaso

Dizionario Biografico degli Italiani

DE AMICIS, Tommaso. - Nacque in Alfedena (L'Aquila) il 18 ott. 1838, da Giuseppe ed Elena Di Loreto, primo di numerosi fratelli, tra i quali si distinse Mansueto che fu deputato e senatore. Allievo del Collegio medico di Napoli negli ultimi anni del Regno borbonico, il suo nome è ricordato dallo storico R. De Cesare tra quelli degli studenti che furono protagonisti della nota rivolta contro il rettore Caruso.Conseguita la laurea in medicina nel 1862, il D

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) Francesco Felici, medico nettunese

Francesco Felici nasce a Nettuno il 31 agosto del 1859 da Raffaele Felici e Vittoria Tavolini. Laureato in Medicina e Chirurgia alla Regia Università di Roma nel 1885, si interessa fin da subito di una delle branche nascenti della medicina di fine secolo ottocento e diviene, come definito dal Brovelli Soffredini, "cultore dell'arte salutare e specialista insigne per le malattie della gola".

Intatti, proprio verso la fine della seconda metà dell'ottocento, la medicina si porta su posizioni di analisi sempre più specialistiche e vede l'esplosione della diagnostica e della terapia. Accanto ad una. medicina generale che sta diventando internistica. si sviluppa la chirurgia generale che si fa più ardita grazie alle grandi scoperte della microbiologia, dell'asepsi e della farmacologia ed anestesia.

L'eredità del passato aveva lasciato in dotazione specialità in embrione che si svilupperanno in breve tempo: oculistica, ostetricia, urologia, pediatria ed otologia. Nasce in questo periodo la laringoscopia che porterà la laringologia ad assumere una sua propria dignità. La rinologia si sviluppa con l'introduzione dei nuovi apparecchi, gli ''specchietti rinofaringei", che permetteranno di esplorare le strutture del rinofaringe. E' questo il momento in cui vengono riconosciute molte affezioni dell'orecchio, naso e gola.

Il 1882 è quindi la data in cui inizia l'insegnamento universitario della laringologia in Italia.

Francesco Felici si trasferisce a Napoli per continuare i suoi studi di medicina con riferimento otologico, sotto gli insegnamenti dei due più famosi studiosi partenopei: Ferdinando Massei e Vincenzo Cozzolino, ai quali va il merito degli enormi progressi compiuti in campo laringologico ed otologico; fondatori della specialistica suddetta presso l'Università di Napoli e grandi maestri per il nostro concittadino.

Tornato a Roma, Francesco Felici prende contatto con gli altri specialisti ospedalieri ed in particolare partecipa alla nascita della Società di laringologia, otologia e rinologia (SILOR) in Italia ed al primo Congresso svoltosi a Roma nel 1892. Come ci riferisce il dott. Domenico Celestino, si "qualificarono specialisti romani: Francesco Egidi, Francesco Felici e Giuseppe Nuvoli. La partecipazione del primo fu giustificata dalla sua estrazione chirurgica e dalla sua pratica prevalentemente laringoiatrica, quella del secondo, dalla formazione specialistica acquisita a Napoli e quella del terzo, dalla sua indipendenza dall'università".

Proprio in occasione di questo primo congresso della SILOR, il dott. Francesco Felici presenta tre ricerche che sono riprodotte per intero in appendice a questo articolo (n. 1-2-3) insieme ai titoli delle altre che vengono pubblicate nelle prime riviste specialistiche italiane. Sempre durante il congresso del 1892 a Roma, Felici partecipa attivamente ai lavori con cinque interventi nelle discussioni.

Il Presidente del Congresso Prof. Grazzi chiude l'adunanza ad ora tarda pronunziando le seguenti parole: "dobbiamo essere soddisfatti, ed oserei dire anche orgogliosi, dei risultati scientifici e pratici ottenuti in questa prova fatta in una prima riunione dei cultori italiani della laringologia, dell'otologia e della rinologia."

Francesco Felici, muore il 29 aprile del 1893 a soli 33 anni per broncopolmonite. Viene commemorato dal collega Antonio Damieno, medico nell'ambulatorio specialistico dell'Ospedale degli Incurabili a Napoli, in un necrologio comparso sulla rivista Archivi Italiani di Laringologia XIII, pag. 150, del 1893, nel quale egli ricorda Francesco Felici durante i suoi studi a Napoli, l'attività romana, le diverse pubblicazioni e la partecipazione al Congresso Internazionale di Parigi in occasione della Esposizione Universale.

Vale la pena qui di ricordare in poche righe anche la figura di Francesco Egidi, un altro medico con il quale lo stesso Felici collabora fin dall'inizio dell'attività specialistica romana.

Francesco Egidi (Palombara Sabina, 1851 - Roma, 1913) è importante per il nostro territorio, perché inizia la sua attività professionale come medico condotto a Monterotondo e ad Anzio. Proprio a Nettuno nasce Guido Egidi (21) nel 1883, sicuramente figlio d'arte, famoso chirurgo di cui già è stato detto nel libro "Un secolo di storia ospitaliera a Nettuno ( 1864-1969) "(22)

Francesco Egidi, orfano di padre, riesce a frequentare l'Università di Roma, lavorando all'Ospedale S. Spirito e laureandosi nel 1847. Dopo un breve .soggiorno a Parigi, si stabilisce a Roma, dove si interessa delle problematiche clinico-terapeutiche, che in quel tempo presenta l'infezione difterica e propone utili modifiche allo strumentario dell'intubazione. Di fronte alle complicanze delle stenosi laringee post-chirurgiche, studia nuove tecniche di terapia. Fin dal primo Congresso SILOR del 1892, come il dott. Felici, comunica le sue statistiche ed i suoi risultati. Nel 1902 consegue la libera docenza in laringologia.

 

PUBBLICAZIONI DEL DOTT. FRANCESCO FELICI

1. Caso dubbio sulla causa della paralisi della corda vocale A.i.l. anno VI, 1886, 3/4, pag. 131

2. Note cliniche su due casi di carie della mastoide consecutivi ad otite media purulenta cronica Arch. Pat. Infant, Anno IV. 1886, pag. 6

3. Paralisi e crisi laringea A.i.l., anno VIII, 1887, 2, pag. 67

4. Esiti rari della rinite cronica scrofolosa B.m.o., 1887, V, 6, pag. 121

5. Papillomi multipli infiammatori del condotto B.m.o., 1887, V, 2. pag. 34

6. Sifilidi dell'orecchio B.m.o., 1887, V, 3, pag. 56

7. Un caso clinico della vera sintomatologia di Menière per esito di otite media purulenta cronica B.m.o., 1887, V. 1, pag. 3

8. Granuloma della faringe o sarcoma? M.p.l, anno XXX, 1888, 3, pag. 205

9. Corpo estraneo nel naso B.m.o., 1888, VI, 2, pag. 32

10. Guarigione di una caso di anosmia B.m.o., 1889, VII, 5, pag. 133

11. Esito raro delle vegetazioni adenoidi del cavo naso-faringeo B.m.o., 1890, VIII, 1, pag. 21

12. Azione della linfa di Koch nella tubercolosi laringea B.m.o., 1891, IX, 3, pag. 49

13. Cura della laringite tubercolare G.O., 1891, pag. 134

14. Modificazione dei galvano-cauteri. Presentazione A.I. Cong. It.. 1892, pag. 232 (vedi riproduzione di seguito)

15. Guarigione di un caso di sifilide labirintica bilaterale A.l. Cong. IT, 1892, pag. 234 (vedi riproduzione di seguito)

16. La saccarina nell'ozena nasale A.I Cong. It 1892, pag. 233 (vedi riproduzione di seguito)

 

 

Frontespizi delle prime riviste specialistiche italiane

dove Francesco Felici pubblica i suoi lavori scientifici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Fede (1832-1913), Ma il massimo esponente della Pediatria italiana delle origini, anche se cronologicamente non il primo, va considerato Francesco Fede (1832-1913), nativo del Sannio, che, laureatosi a Napoli, dedicò i suoi primi studi alle ricerche istologiche e fisiologiche, mettendosi all’avanguardia in territorio nazionale per quei tempi, fino a fondare il Museo anatomo-patologico nel nosocomio degli Incurabili. Entrato in Parlamento nel 1890, si battè a fondo a favore dell’insegnamento della Pediatria in tutte le università italiane, rendendone obbligatorio l’insegnamento, esaltandone l’importanza non solo dal punto di vista scientifico ma anche sociale. La Scuola fondata da lui a Napoli che aveva come sede angusti ambienti nel corpo dell’Ospedale Gesù e Maria ebbe il suo inizio nel 1887. Nel 1904 l’Istituto divenne ospite della Clinica Ostetrica. Importanti i suoi studi sull’anemia splenica, sulla nefrite, sulla malattia di Parrot (atrepsia), sul rachitismo congenito. Fu socio fondatore e presidente della Società Italiana di Pediatria e nel 1893 fondò il periodico “ La Pediatria”.

 

IPPOLITO, Nunziante (Nunciante). - Nacque a Napoli il 24 marzo 1796 da Cosma e da Maria Scaramuzzino. Laureatosi in medicina e chirurgia presso l'Università partenopea, nella sua città si avviò subito alla carriera ospedaliera: entrato a far parte nel 1819 della sala maternità dell'ospedale degli Incurabili, divenne poi chirurgo dello stesso nosocomio e in quello dei Pellegrini. Grazie alla preparazione e alla capacità professionale dimostrate ebbe anche l'incarico del libero insegnamento dell'anatomia descrittiva e pratica e della chirurgia operativa.

Autore di pregevoli studi di anatomia umana e di medicina operatoria, l'I. praticò per primo la legatura dell'arteria vertebrale, per la cui esecuzione individuò il prezioso punto di repere che fu subito noto come "triangolo di Ippolito", piccola area compresa tra il margine laterale del muscolo lungo del collo e il margine mediale del muscolo scaleno anteriore (Sulla legatura dell'arteria vertebrale ne' casi di aneurismi e di ferite della stessa, in Annali clinici dell'Ospedale degl'Incurabili, I [1835], pp. 136-153): il reperto fu apprezzato dai più autorevoli studiosi, tra i quali A.-A. Velpeau, che rivendicò inoltre al chirurgo napoletano la priorità dell'esecuzione dell'intervento, da altri autori attribuita a professionisti stranieri. L'I. pubblicò ancora a Napoli nel 1842 un Trattato di anatomia, opera molto curata e ricca di riferimenti microscopici, e nel 1845 Una bizzarra anomalia delle parti sessuali, descrizione di un raro caso di ermafroditismo osservato in una donna di 54 anni, della quale aveva potuto eseguire l'esame necroscopico.

Inediti rimasero alcuni altri suoi scritti.

Chiamato nel 1850 a insegnare la clinica ostetrica e ginecologica nell'Università di Napoli, l'I. morì nella stessa città nel 1851.

Professionalmente molto affermato, fu tra l'altro ostetrico della casa del principe Luigi di Borbone conte dell'Aquila. Fu membro di varie accademie, fra cui la Medico-chirurgica di Napoli, la Imperiale della Valtiberina e quella degli Incamminati di Milano.

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